74 – Luglio ‘91

luglio , 1991

Ribes gratis, di Vittorio Amandola, messo in scena al teatro dei Cocci, ha costituito per i due Farfalloni una delle esperienze più punitive di anni e anni di impiccioneria critica. Il signor Autore, regista ed anche costumista, ha montato, o meglio raffazzonato, un insieme di urla, strepiti, pessime sonate e canzonacce, sotto un pretestuoso blasone pseudo-goldoniano e tutto questo ha creduto di poter rifilare ad un pubblico pagante. Una becera farsa in stile «napoletanesco» simulava un’altrettanto sgangherata sceneggiata veneziana, coinvolgendo un certo numero di giovinotti e giovinotte che, senza alcun senso del pudore, si esibivano credendo di «recitare». Nessuna filodrammatica, nessuna clownerie circense ci ha mai procurato un tale mal di testa, un così forte disgusto da farci scappare dalla sala in anticipo sulla fine dello «spettacolo», inducendoci a commettere un gravissimo peccato di omissione; ma il nostro senso del dovere non è stato sufficiente a vincere tanta sofferenza.

Alla sala Frau (Festival di Spoleto) abbiamo fatto visita ad una cara amica: Pamela Villoresi, impegnata nelle repliche di Dittico Coniugale, montaggio di due atti unici di Jules Renard (1864-1910): Il piacere di dirsi addio e Il pane di casa, con la regia di Marco Sciaccaluga. Sono due piccole inezie, rappresentative del teatro di boulevard francese di fine secolo: la prima è la storia di due amanti sul punto di lasciarsi; nella seconda, una coppia di persone per bene si lascia tentare dall’idea di tradire i rispettivi coniugi, ma ci rinuncia nel breve spazio di un dopo cena. La Villoresi, bravissima come al solito, ha tentato di disegnare i due personaggi femminili, differenziandoli fra di loro: il primo tratteggiato con coloriture di amarezza e disincanto, il secondo frivolo ed infantile; non è caduta nel tranello del testo italiano: in francese le battute sono una girandola di erre e di parole tronche, che hanno quasi un significato puramente sonoro, nella traduzione italiana di Luca Lamberti le parole corpose e un po’ sussiegose hanno bisogno di quella giustificazione psicologica che l’attrice ha sempre perseguito con maestria. Il suo partner Massimo Popolizio ci è invece cascato in pieno ed ha proposto per due volte un personaggio ridotto a manichino in vena di scioglilingua. Non riusciamo a capire cosa abbia fatto il regista, oltre che sbagliare completamente le luci.