73 – Giugno ‘91

giugno , 1991

Un variopinto miscuglio di mecenatismo, snobismo e beneficenza, ha dato vita ad un’operazione di indiscutibile valore culturale, superando con lo spirito d’iniziativa le secche della burocrazia istituzionale inerte quando si tratti di dar vita ad eventi che risollevino un poco le sorti «spirituali» di questa città.
La mostra Fasto Romano aperta fino al 30 giugno nel bel Palazzo Sacchetti, al numero 66 di via Giulia, raccoglie e mette a disposizione dei visitatori uno scelto campionario di mobili, arredi, quadri, sculture e suppellettili del Barocco provenienti dai più aristocratici palazzi romani, tra cui Quirinale e Vaticano. Non sappiamo quanto giustificato sia il criterio di esposizione: a noi è sembrato che con poco sforzo sarebbe stato possibile evitare che la raccolta assomigliasse troppo da vicino ad un «mercato antiquario» quale dappertutto se ne vedono. La bella struttura ospitante ci sembra avrebbe potuto offrire l’occasione di una «ricostruzione» ragionata di alcuni ambienti nei quali i singoli pezzi trovassero anche un significato in relazione all’uso e alla funzione, dialetticamente in rapporto tra loro stessi. Detto questo, che è un parere senz’altro discutibile, diremo solo più che alcuni degli oggetti messi in mostra sono di una tale bellezza intrinseca e di tanto significato storico che non si può che restarne ammirati. Citiamo il Carlo Barberini a cavallo, di Francesco Mochi (1580-1654), un bronzo di piccole dimensioni che ha la grandiosità di un monumento equestre; il seducente Bacchino de L’Autunno di Pietro e Gian Lorenzo Bernini, una delle quattro figure simboleggianti le stagioni ottenute ciascuna da un sol blocco di marmo. L’espressivo e forte Ritratto di Giovan Pietro Bellori del Maratta (1652-1713). Tutta la serie di paesaggi ad olio di Gaspar van Wittel (1653-1736) che, con le tempere, costituiscono un prezioso punto di riferimento per chi voglia fantasticare sui luoghi di quella Roma barocca. Tra i moltissimi mobili ed oggetti abbiamo apprezzato in modo particolare due orologi notturni provenienti, ci pare, da Palazzo Colonna, della seconda metà del Seicento (cosiddetti perché un lume al loro interno permetteva di leggere l’ora anche di notte), preziosamente dipinti ad olio su rame; e due candelieri provenienti dal Quirinale, in bronzo dorato, rappresentanti ciascuno una coppia di figure virili che reggono il braccio dei lumi, firmati Francesco Righetti.
Un’opportunità dunque di stare in mezzo a cose belle, con la consolazione che il biglietto pagato serve ad aiutare un’iniziativa di assistenza per handicappati; a dimostrazione che in questo paese se non ci si aiuta da sé…

Sarebbe fin troppo facile, parlando della mostra dei Nudi, ritratti e disegnini di Sylvano Bussotti alla galleria Il Polittico di via Monserrato 28, dire che l’arte è una, che la divisione in branche ed in generi particolari è fittizia e che ciò che conta è l’espressività della ricerca.
Si potrebbe anche dire che alcuni talenti particolari riescono a comunicare servendosi di più di una forma d’arte. Questo è il caso di Bussotti: compositore, attore, poeta, drammaturgo, scenografo ed anche pittore. Questo sembrerebbe dimostrare che non solo l’arte è una sola; ma che tutta la cultura è inscindibile, in quanto ricerca: musica, poesia, fisica nucleare, giardinaggio. L’essere umano nella vita si afferma mettendosi in relazione con se stesso e con gli altri, attraverso innumerevoli modalità. Quello che è importante comunque è fare bene quello che si decide di fare, e farlo anche in modo che il «prossimo» ne possa fruire in parte, quindi anche essendo a sua volta creatore.
Il solipsismo non è una scelta possibile, può essere solo finzione. Rapportarsi «bene» agli altri non è però facile.
Innanzi tutto vorremmo dire che i disegni di Bussotti hanno un grande pregio morale: sono privi della prudérie che inquina troppe opere d’arte del passato e del presente. È importante saper esprimere i propri desideri trasmettendoli agli altri: il mondo è bello da indagare e da scoprire. Il nudo virile può essere tenero, piacevole, esaltante. Qui il musicista Sylvano Bussotti ritma questi bei corpi nudi con una sua armonia ed un suo contrappunto e con molta tenerezza. Non ci sono slanci particolarmente eroici; forse c’è talora compiacimento e autocompiacimento, ma le immagini si stendono sui fogli come sorprese da uno sguardo un po’ indiscreto, amico e complice.

«Ma lei è soprattutto scrittore o grafico?» dice di sentirsi spesso domandare Günter Grass nello scritto di presentazione della sua mostra alla Galleria «Il Segno» di via Capo le case.
A lui viene di rispondere scherzosamente: «Io disegno sempre, anche quando non disegno, perché sto scrivendo, oppure concentrato, non sto facendo niente». Ecco qui un artista che ha scelto due sole forme espressive; anche se noi affermiamo che la scrittura e il disegno hanno in comune nulla e allo stesso tempo tutto, appunto come con il teatro e il giardinaggio.
Guardiamo queste opere per quello che sono ed anche per cosa sappiamo del suo autore. Egli ama meticolosamente i simboli che uniscono e nascondono elementi essenziali della realtà. La psicoanalisi…ci ha insegnato ad andare sempre alla ricerca di ciò che sta dietro il simbolo; ma l’arte ha insegnato che dietro al simbolo c’è un altro simbolo, e così via, forse all’infinito.
Così può dunque darsi che i simboli non esistano e siano soltanto il significato stesso. Eppure sappiamo che i simboli si possono disciogliere in altri simboli che diventano la spiegazione dei primi: un fungo è simbolo di un fallo, il fallo di uno scettro e questo di un fungo. Si tratta di cercare la spiegazione che ci fa più comodo. Con indubbie doti di disegnatore Grass sceglie nel corso della sua opera una serie di simboli privilegiati e li piega alla narrazione, talora articolando il racconto in veri e propri cicli: i funghi, i pesci, i guanti, gli alberi, i topi. I toni della sua narrazione in bianco e nero sono sempre forti e spessi, i segni profondi, le linee tormentate e le superfici si affollano di accostamenti che vogliono ispirare inquieta ripugnanza, tragica e greve sensualità fiamminga, come nei brulicanti deliri di Bosch. Visceralità, genitalità e analità vengono poi ogni tanto ritmate dall’apparizione del cuoco, figura rubizza di carnefice che cucina il tutto in previsione di una digestione universale.