73 – Giugno ‘91

giugno , 1991

«Che serve scrivere e cos’è un poeta a confronto con la fama negli stadi?» Dice Nelo Risi a pagina 24 del volumetto Mutazioni (Mondadori Nuovo Specchio, 1991, pago 91, Lit. 20.000). È una riflessione che ci capita spesso di fare, soprattutto quando leggiamo la cosiddetta poesia contemporanea, la quale, fatte salve alcune rarissime eccezioni, unisce alle sue caratteristiche specifiche, diverse di volta in volta, una sensazione costante di effimero. Poi pensiamo che ciò fa parte del sentimento di precarietà che sempre si accompagna alla vita umana quando riflette, al presente, su se stessa.
Risi cerca forse per questo di dare ai suoi versi una finzione di storicità, pretendendosi l’interprete dei più riposti e nascosti sentimenti di un Ovidio esule lontano da Roma. Il parallelismo funziona a doppio senso: il poeta di oggi si identifica con quello di ieri e forse si compiace di aver raggiunto così una facile grandezza.
Nelle altre tre sezioni si susseguono bozzetti rapidi come quadretti o fotografie addirittura e riflessioni ecologiche o di cronaca politica. Da buon poeta d’oggi le composizioni sono per lo più aforismi moralistici e talvolta intimistici, velati di ironia e malinconia:
«C’era un luogo di casal un angolo di muro dove starei Assieme, che solo a nominarlo/ emanava tepore/ (…) Da quando le lente volute/ hanno espresso null’altro che cenerei già il fatto di esisterei è di peso al sopravvissuto» (Struggimento, pago 73).

Sottraete ai defunti goliardi che furono «quelli della notte» anche l’ombra dell’umorismo. Fate in modo che Woody Allen divenga ancora più stupido e tronfio. Togliete le rime al Corriere dei piccoli. Spargete qua e là versi di canzonette del tempo che fu. Ed avrete le due raccolte di poesie di Valentino Zeichen riunite sotto il titolo Gibilterra (Mondadori Nuovo Specchio, 1991, pagg. 97, Lit. 20.000).
La prima raccolta – da cui il volume prende il titolo – si presenta sotto forma di brevissimi e quieti racconti ambientati in siparietti di ricordi nazi-fascisti a sfondo tecnologico. Il linguaggio è estremamente chiaro, quasi povero, ci verrebbe da dire «riduttivo». Nella sezione di poesie «Ecologiche», frasucce piene di buon senso hanno la pretesa di salvare il mondo: sacrosanti attacchi ai detersivi e agli shampoo si accartocciano a frasi più oscure, sgangherate ed inessenziali. Tutto però è innocuo; nulla di incisivo, iterazioni sotto forma di litanie che non possono interessare nessuno.
Il libro si chiude con una frase blasfema (meno male!):
«e così la sfera monade,/ modello a tutte le idee,/ rimbalzerà sulla terra e diverrà la capricciosa ispiratrice/ di ogni estro e geometria/ del divino gioco del calcio» (pag. 97).
In tutte queste pagine abbiamo trovato una sola, unica, bellissima poesia:
«E gira, gira l’elica, romba il motor questa è la bella vita, la vita bella/ dell’aviator».
Ma temiamo non l’abbia scritta Zeichen.