73 – Maggio ‘91

maggio , 1991

Sia quelli che oggi ci invitano a votare «sì» in risposta ad un referendum che propone l’abrogazione dell’attuale legge elettorale, in particolare per quel che si riferisce al numero delle preferenze da assegnare ad ogni lista; sia coloro che ci invitano a votare «no» o a scansare la noiosa bisogna scegliendo come alternativa un’allegra gitarella fuori porta, sembrano in ogni caso volerci confermare quello che fino ad oggi è stato un tremendo sospetto, sempre però smentito dalla classe politica che si divide il potere e il contropotere nel Palazzo. Se infatti gli elettori cui fino ad oggi sono state indicate le «terne» di preferenze all’interno delle varie liste elettorali sono stati veramente «condizionati al rispetto del ‘consiglio’ dall’esercizio spesso, non solo del potere di intimidazione delle centrali criminali ma anche dallo spregiudicato uso delle funzioni pubbliche e dei poteri istituzionali» (cfr. W Veltroni, Paese sera, 2/6/91), ne consegue che protagonisti e antagonisti della scena politica istituzionale sono, non solo dei cialtroni, ma molto più precisamente dei criminali, per azione diretta o mediata. Mandanti cioè di delitti veri che vanno dall’omicidio al furto aggravato, all’estorsione e alla strage.

Altro che seconda repubblica quindi! Quale costituzione inefficace o tradita? Quale manipolazione dei mezzi di comunicazione? Due assemblee legislative risulterebbero alla luce di tali elementari quanto reiterate denunce composte per intero di – non solo potenziali delinquenti. Fino ad estendere il contagio agli altri poteri dello Stato: esercito e magistratura. Non una mafia che si sostituisce allo Stato, ma uno Stato che realizza in toto i progetti mafiosi facendoli propri.

E ci scuserà chi è convinto che non di questo italico paese si parli ma di «qualche nazione sudamericana» (cfr. S. Fontana, ibidem). Corrotti siamo quindi anche noi, se questo abbiamo permesso si costruisse in quarantacinque anni di democrazia parlamentare. Capaci solo di risposte qualunquistiche, come la protesta imbelle di cui queste stesse righe sono esempio minuscolo nella loro velleitarietà; o – peggio – di sanguinarie parodie delittuose di rivoluzione che hanno affidato per anni all’uso indiscriminato del piombo il compito di rendere giustizia.

Per quanto certi che questo sia «il peggiore degli stati possibili», non possiamo quindi fidarci né di chi ci invita all’ennesima correzione parziale di un sistema tanto degenerato; né di chi ci propone di lasciare le cose come stanno, in attesa di quella «grande riforma» che segnerà infine la svolta.

Per questo acquista oggi significato politico la progressiva disgregazione dei partiti che non si deve limitare come si vorrebbe far credere ad una rotazione dei ruoli, ad una alternativa delle potenzialità di rappresentanza; e tantomeno ad una logica «regionalista» che trasferisca gli stessi criteri in ambiti locali, omogenei magari per dialetto e censo.

E importante infatti che si strutturi un recupero di autonomia decisionale. Per quanto possano far sorridere sono proprio le piccole unità «autarchiche», culturali ed economiche, una possibilità – tra poche altre – di prendere le distanze dalla delinquenza politica. Progetti, questi, sicuramente minimi; ma che possono soccorrere le coscienze, anche là dove manchi il coraggio di affidarsi ad una Provvidenza certo più efficace, ma oggi tanto compromessa dagli innumerevoli manzoniani Padri Provinciali, che usurpano il ruolo di mediatori tra la Giustizia e l’uomo.