71 – Aprile ‘91

aprile , 1991

Antonio da Montecavallo, forse fratello di Andrea Bregno, e Donato Bramante costruirono tra il 1400 e il 1500 il bel Palazzo della Cancelleria. Bellissima è la sala Riaria o Aula Magna. Elegante il soffitto affrescato, severi gli antichi scranni. Lo spazio è ben ritmato ed elegante; però qualche mente perversa si ostina a voler usare questa gradevole sala come luogo per fare musica. Qui è sopportabile, ma non molto di più, ascoltare un clavicembalo, un pianoforte o, al massimo, due o tre archi, altrimenti le risonanze diventano insopportabili, i suoni si incrociano e si sovrappongono, distorcendosi; il disequilibrio degli insiemi diventa quasi assoluto.
La sera di mercoledì 20 marzo, ci è capitato di ascoltare l’orchestra dell’Associazione Musicale Romana, diretta da Franco Presutti, con la partecipazione dell’oboista Franco Pollastri in un programma tutto mozartiano, inserito nel ciclo Musica a Palazzo.
L’esecuzione nel suo complesso non ci è certo sembrata eccelsa, però, pur avendo cambiato posto durante il concerto, alla ricerca di suoni meno sporchi, dobbiamo riconoscere che il nostro giudizio permane insicuro a causa della disastrosa acustica del posto.
Il Divertimento per archi in si bemolle maggiore K137, dopo un buon inizio sommesso, si è poi vivacizzato in momenti briosi pungenti, con un’esecuzione accettabile, nonostante un’ostinata imprecisione negli attacchi.
Il successivo Concerto in do maggiore K 314 per oboe e orchestra, dopo l’iniziale pesantezza nell’ingresso dei fiati e un incerto attacco dell’oboe che pareva addirittura stonare, ma non sappiamo quanto a motivo delle già citate condizioni acustiche, è proseguito con un’esecuzione impacciata dell’orchestra, mentre il solista andava via via acquistando fluidità, nell’ultimo movimento infine l’orchestra recuperava un accettabile brio e l’oboista dava al suo strumento accenti di efficace espressività. La conclusiva Sinfonia in si bemolle maggiore K319, dopo un primo tempo eseguito in modo meccanico in cui si notava un’eccessiva preponderanza dei fiati, si assestava nel secondo movimento in un’interpretazione discreta per dinamica ed espressione; ma tornava poco omogenea e discontinua nel minuetto e nel tempo conclusivo.
Naturalmente abbiamo parlato solamente dell’interpretazione senza entrare nel merito del divino splendore dei brani mozartiani. Di sfuggita, ci viene, a questo punto, voglia di fare una considerazione: in tutto il mondo, e quindi anche a Roma, in quest’anno la musica di Mozart viene eseguita in tutte le circostanze possibili, cosa di cui siamo comunque soddisfatti; però vorremmo che almeno nella capitale si facesse un po’ più d’attenzione alla qualità. Non è passato molto tempo da quando il nostro gusto è stato offeso da quella flaccida ed inespressiva realizzazione del Don Giovanni all’Opera di Roma, uno dei maggiori teatri lirici italiani. Per un verso quindi continuiamo a dire che Mozart vale comunque sempre la pena di essere eseguito ed ascoltato; ma per un altro verso ci irritiamo e ci sentiamo personalmente offesi ad ogni esecuzione troppo sciatta e disattenta.

Mercoledì 27 febbraio, nell’ex-cinema Castello, abbiamo ascoltato un concerto del batterista Billy Cobham con Ernie Watts ai sax, Brian Bromberg al basso e Joe Chindamo alla tastiera.
La sala, piccola, era gremita da un pubblico di infernali fumatori che però prestavano molta attenzione a quello che stavano ascoltando. Il concerto è stato abbastanza gradevole: musica non certo difficile, anzi piuttosto accattivante. Si passava da brani sincopati e melodici ad un rozzo contrappunto tipico del rock, a molte suggestioni di jazz anni ‘50, inoltre, qua e là riecheggiavano ricordi della musica andina; alcuni passaggi lenti, sempre occhieggianti al minore, erano decisamente troppo leggeri.
Il migliore in assoluto, secondo noi, è stato il sassofonista, sempre molto fluido e sciolto e dall’ottima cantabilità che sconfinava in alcuni punti in un virtuosismo di buona lega. Basso e tastiera ci sono invece sembrati rigidi, se pure bravi. Il batterista Billy Cobham, dalla bella figura, assolveva bene il compito di legare con buon ritmo il tutto; ma l’avremmo preferito meno ovvio e prevedibile.