71 – Aprile ‘91

aprile , 1991

Paprika, il film tanto discusso di Tinto Brass, non è certo un’opera d’arte e forse non è neppure un bel film; ha però un grandissimo merito: quello di smascherare i «tartufi». Sappiamo che quello che diremo irriterà molte persone, anche tra i nostri amici; ma noi abbiamo l’impressione di non sbagliarci. Se qualcuno dopo aver visto il film, vi dirà con aria sussiegosa: «È un film noioso e per nulla eccitante», avrebbe bisogno di qualche seduta di analisi per potersi liberare ancora di un bel po’ di frigidità ed ipocrisia. Abbiamo detto che non è un bel film, aggiungiamo che è proprio brutto; si può accettare che sia necessariamente un po’ ripetitivo: sono buttate alla rinfusa sullo schermo scene di natiche, tette, coiti di tutti i tipi, scene lussuriose, proprio come può avvenire nelle fantasie masturbatorie di un sedicenne. Però in questo campo, nessuno, maschio o femmina ha mai veramente superato i suoi sedici anni. Noi vecchi signori siamo orgogliosi di essere rimasti adolescenti e di avere il coraggio di confessarlo. La storia di Paprika, è quella di una fanciulla che, negli anni cinquanta decide di sacrificarsi per il suo ragazzo, adattandosi a lavorare in un «casino», per raggranellare rapidamente un buon gruzzolo. Ovviamente resterà invischiata nei meandri della nuova professione che oltretutto non le dispiace e dopo un susseguirsi di alti e bassi nella carriera finirà maritata ad un vecchio conte che la lascerà vedova e ricca, padrona, dopo l’avvento della legge Merlin, di sposare il suo vero amore, che non è più quello dell’inizio, ma un prestante capitano di marina. Tinto Brass ha già dimostrato altre volte di avere una fantasia molto fervida ed è anche spiritoso; riesce così a costruire più di una scena sessualmente eccitante, senza moralismi, nostalgie del bel tempo che fu e una discreta voglia di sghignazzare volgarmente su maschi e femmine infoiati. Inoltre alcune atmosfere delle vecchie case di tolleranza, se pur espressionisticamente esagerate, hanno una certa efficacia. Qui potrebbe innescarsi una polemica senza fine se ci chiedessimo come possa l’oscenità volgare risultare anche sessualmente eccitante. Senza dubbio i kouroi greci e le veneri cinquecentesche eccitano anche i sensi, oltre che elevare lo spirito (qui potremmo fare una battutaccia a proposito del film degna del regista: tartufismo nostro o buon gusto?). Certo però che chi, terminata la lettura di queste righe, con la boccuccia a «culo di gallina» dirà: «Sarà… però io ho trovato il film solo noioso…» sappia di essere diventato irrimediabilmente vecchio. Il difetto principale, oltre la volgarità, è che nessuna delle figure di contorno riesce a diventare un personaggio: sono solo macchiette quelle che risultano, malgrado l’ottimo rendimento di tutto il cast. Debora Caprioglio, la protagonista, riesce ad essere solare come una vera puttana, partecipando al personaggio con tutte le sue doti personali.