71 – Aprile ‘91

aprile , 1991

Il libro di Francis Bacon, La brutalità delle cose. Conversazioni con David Sylvester (Quaderni Pier Paolo Pasolini, 175 pagg.; Lit. 32.000) comprende una serie di conversazioni del pittore di origine irlandese con il critico inglese che vanno dal 1962 al 1984. Bacon parla di sé, della sua pittura e soprattutto del suo modo di dipingere. Le sue considerazioni sono intriganti, coinvolgenti, talvolta irritanti e talaltra sulla soglia della comprensibilità. Ma sulla soglia egli intende comunque rimanere: cerca di dire l’essenziale delle cose e del fare dicendo ciò che è quasi impronunciabile. Si affollano qui disordinatamente frasi di una metafisica terrestre; egli che si professa non credente risulta ossessionato dalle figure di Cristo crocifisso e dal Papa. Sguscia da tutte le parti, pur di non lasciar trapelare il mistero sacrale racchiuso nella sua pittura. Secondo Bacon l’arte sorge dall’inconscio, parla non si sa con chi, se non con lui. L’artista è imprigionato dalla voglia del caso di divenire necessità trascendente. In questo suo parlare sempre ‘al limite’ arriva continuamente a smentirsi, ma anche a pronunciare frasi di una folgorante verità, che viene subito contraddetta , ma ugualmente agisce come stimolo al pensiero. Egli racconta con finta semplicità le sue tecniche pittoriche, che acquistano corpo e sensualità. La morte che aleggia dovunque: carne crocifissa o amici perduti, mistero di uno sfondo blu cobalto o allontanamento della vita attraverso la mediazione di un vetro, che diventa subito però energia vitale. Qua e là vi sono osservazioni interessanti sulla sua vita, sull’infanzia, sulle sue abitazioni, sulla sessualità, sull’arte, sugli altri artisti. Non sono mai osservazioni banali. Questo breve libro non è inutile: serve a meditare su di un uomo che appare essere disperatamente sincero e bugiardo allo stesso tempo e anche fa riflettere sullo sforzo che l’arte figurativa comprende in sé poiché si esprime avendo paura di esprimersi, specialmente dopo che la fotografia e il cinema l’hanno spiazzata, o forse salvata. Bacon odia ugualmente la pittura astratta e quella che lui definisce illustrativa, e lo dichiara con osservazioni che sono talmente chiare che rasentano l’incomprensibile. Bacon asserisce a più riprese di essere sempre catturato da quello che fa, al di fuori delle sue intenzioni; questo per non compromettersi mai nella ricerca di un significato.
Al di là delle considerazioni artistiche, viene fuori dalle pagine anche la descrizione di un uomo di successo, forse più disperato di molti che il successo non ha sfiorato.