69 – Gennaio ‘91

gennaio , 1991

Come tutti sanno, Don Chisciotte è un emblema: matto, saggio, stralunato, vigliacco, illuso, ma soprattutto sognatore.
Chissà perché tutti lo sovrappongono al Sigismondo di Calderon de la Barca, mettendo in atto una falsificazione anche se spesso si risolve in un trucco felice e di indubbia efficacia. Il Seicento è un’epoca che trascende se stessa: ha qualcosa dell’antichità ellenica; è qui, là e altrove.
Chiaroscuri e suggestioni si sovrappongono e quelle atmosfere e quelle figure assumono significato simbolico. Il Seicento è grande e miserabile, dorato e straccione;
rappresenta l’umanità perché gli uomini non sono riusciti mai ad essere diversi. Cervantes scrisse uno pseudo-romanzo monumentale e contraddittorio, in cui un hidalgo, nella sua demenza quotidiana vuole ripercorrere le gesta degli antichi cavalieri erranti. Tutti conosciamo le sue avventure strampalate; tutti conosciamo il meta-romanzo: storia nella storia in cui Don Chisciotte è raccontato e si racconta. La sua follia ha dato stura a fiumi di chiacchiere: Don Chisciotte è pazzo o non è pazzo? Tony Cucchiara dice di aver trovato anche un testo di certo abate Giovanni Meli in cui è riportata una versione della storia di Cervantes, inserita però in un contesto folcloristico siciliano. Alcune suggestioni sono le stesse dell’originale spagnolo, ma ovviamente lo sfondo è un po’ diverso e la lingua usata è un’invenzione pseudo-arcaica-siculo-iberica. I giri di frase, di fatto, sono una contaminazione tra Mimmo Modugno e Sciascia. Riconosciamo che l’effetto ottenuto da Cucchiara non è per nulla sgradevole ed ha una sua immediata efficacia; le disquisizioni filologiche le lasciamo poi ad altri più esperti di noi.
La storia di Don Chisciotto di Girgenti è in parte quella tradizionale e in parte conosce l’innesto di argomenti originali come l’orribile moglie persecutoria; la riduzione di Dulcinea ad apparizione onirica e la parentela tra il Cavaliere e Sancho Panza. I meccanismi scenici di Bruno Buonincontri sono ben costruiti: non realistici, ma concretamente efficaci, come i costumi di Silvia Polidori. La regia di Armando Pugliese fa muovere i singoli e le masse in un ottimo amalgama, senza stanchezza e cadute di ritmo.
Lando Buzzanca non mortifica la sua prestanza fisica, non priva di una certa fascinosa sensualità, tuttavia riesce ad essere un Don Chisciotto credibile. Abbiamo trovato il Sancho Panza di Mimmo Mignemi, reso con una recitazione ricca di sfumature e di sfaccettature. Molto bravo Sergio Sivori, ammiccante Pescatore. Molto puntuale la prepotente presenza di Clelia Piscitello, che sostituiva Anna Malvica, nei panni di Nunna «la bella». Tutti gli altri sono stati all’altezza della situazione.
Le musiche di Cucchiara, estremamente accattivanti, oscillano graziosamente tra il rock e il repertorio folc1oristico; ottima l’orchestrazione di Cicci Santucci.
Purtroppo, come troppo spesso accade, anche questa volta ci dobbiamo lamentare dell’amplificazione: Buzzanca con la «pulce» sul bavero, aveva la voce di un Plutone inviperito, ad un volume inverosimile ed insopportabile. Gli altri, che cantavano troppo spesso in play-back, finivano col sembrare marionette prive delle corde vocali. Per ragioni professionali sappiamo che registi e produttori impongono quegli infernali aggeggi che si chiamano «sintetizzatori», noi stessi ne siamo stati vittime! Come risuona meglio una semplice chitarra o una fisarmonica, invece di queste macchine roboanti ed infernali che fanno tutto, sì, ma tutto male: sonorità spettrali e inaccettabili, raccapriccianti e scostumate! Noi amiamo ricordare che in un nostro spettacolo inquinato da tali scelte indecorose, abbiamo dovuto operare un vero e proprio blitz contro il regista così che abolimmo a Benevento quelle invereconde vibrazioni mettendoci personalmente alla tastiera di un piccolo, ma umanissimo organetto; avendo la soddisfazione di variare ogni sera il commento musicale. Perché i musicisti non si ribellano, magari ritornando agli zufoli?