68 – Dicembre ‘90

dicembre , 1990

La compositrice palermitana Barbara Giuranna è una tra le figure significative del mondo musicale italiano. Allieva di De Nardis, Savasta e Ghedini, dopo aver tenuto fino al 1970 la cattedra di composizione al Conservatorio di S. Cecilia di Roma, è stata nominata dal 1983 membro dell’omonima Accademia. Autrice di musica pianistica, sinfonica e operistica, è sulla cena con un’attività continua da più di sessant’anni.
In occasione del suo novantunesimo compleanno è stato organizzato dall’Accademia internazionale delle Arti un concerto di sue musiche, all’Oratorio del SS. Sacramento, con la collaborazione di monsignor Di Liegro e della Radio Vaticana.
Il piccolo spazio dell’oratorio barocco era follato fino all’inverosimile e la serata ha avuto le caratteristiche di una festa di amici ammiratori che si stringono attorno alla figura della Maestra per tributarle un omaggi affetto e di stima.
La musica di Barbara Giuranna è di sapientissima e seria fattura; sono presenti gestioni respighiane ed anche vi si può reperire la presenza di un Debussy, più spudoratamente tonale. Le melodie si lasciano scoprire nella loro tornita ingenuità; la polifonia, sempre presente, è ricca e articolata. Le varie parti del suo discorso musicale si possono seguire con facilità e le architetture sonore, che hanno talvolta qulalcosa di barocco, sono immediate e coinvolgenti. Sia la luce sia le ombre hanno nella sua musica qualcosa di sensuale.
Tutto questo è stato ben percepibile anche nel programma della serata del 28 novembre.
L’improvviso a quattro mani per pianoforte è una breve pagina di buon pianismo, ironica e dal ritmo incalzante, che Lea Leone e Cristina Tarquini hanno reso con un’esecuzione abbastanza pulita; la Sonatina per arpa si apre con un primo tempo morbido, dalle tonalità evidentissime, ma sospese a cui succede un secondo tempo di orientaleggiante impressionismo e che si conclude con un finale efficacissimo dalle squisite sonorità; Isabella Mori ha variato sapientemente con fluidità e precisione, tranne il piccolo inconveniente di un dito ribelle, quasi nell’ultimo arpeggio.
L’incipit per chitarra ha quasi l’andamento di un ricercare, che Simonetta Camilletti ha valorizzato con precisione di tocco.
È seguita una piccola serie di canti per soprano: l’austero Canto storico, dai canti greci tradotti dal Tommaseo; il Canto arabo, quartina d’autore ignoto, dalla bella melodia sinuosa su di un ritmo di ninna nanna; La guerriera, da una poesia popolare, cui si evidenziano una melodia arcaica e il bel dialogo col pianoforte; O suonno, suonno viene, di autore napoletano del settecento consiste di un ampio motivo musicale malinconico che ricorda la barcarola; lo Stornello, da una poesia popolare toscana presenta armonie ricche e una raffinata melodia; l’Aria di Maria Wetzera, dall’opera Mayerling, ha l’andamento sensuale di una danza gitana; infine Il nostro vecchio Dnipro, col testo di un poeta russo contadino è un brano sentimentale e dalle abili modulazioni. Il soprano Sabina Maculi ha esibito una vocalità ampia ed espressiva, accompagnata con grande buon guasto al pianoforte da Raffaele Centurioni.
È seguito un Adagio e Allegro per nove elementi: nel primo movimento di grande efficacia si evidenziano una cellula ritornante di quattro note e un bel contrappunto; nel secondo si apprezzano eleganti impasti sonori. L’esecuzione è stata efficace ed accurata da parte dei solisti della Piccola Accademia (Davide Amodio, violino; Antonio Bossone, viola; Daniela Petracchi, violoncello; Dobrina Gospodinoff, flauto; Anna Rita Argentieri, oboe; Lorenzo Coppola, clarinetto; Fabio Angeletti, fagotto; Adriano Romano, corno; Corrado Pastore, contrabbasso); apprezzabilmente diretti da Marcello Bufalini.
L’Alma Mater, per soprano, voci bianche e pianoforte, è una breve invocazione che il soprano esprime con una melodia asciutta e il coro con un complesso e limpido contrappunto baroccheggiante.
Ha concluso la serata la Missa Sinite Parvulos, in prima esecuzione assoluta, per coro di voci bianche, arpa e organo. Dopo lo splendido Kyrie, luminoso e aereo, si passa a un Sanctus ricco di inaspettate modulazioni; il Benedictus evidenzia una melodia molto fresca; il tutto si conclude con un pensieroso Agnus Dei. Il coro di voci bianche dell’ARCUM è risultato sempre molto equilibrato nelle sue varie parti; l’arpista Vincenzina Capone e l’organista Daniele Rossi sono stati attenti e precisi. Paolo Lucci si è dimostrato un direttore quanto mai all’altezza del suo compito.