66 – Ottobre ‘90

ottobre , 1990

La figura di Don Chisciotte, da quando uscì dalla penna di Cervantes, ha acquisito via via una fisionomia così variegata e poliedrica che ha affascinato letterati, filosofi, musicisti e pittori. La sua figura è stata spesso usata come l’emblema della posizione dell’uomo nel mondo: illuso e [oico, folle e pratico, vinto sempre, sconfitto mai. Narcisista e sadomasochista, Don Chisciotte manifesta spudoratamente il suo inconscio e quante storie ancora si possono inventare, usando quel personaggio terribile e ridicolo!

Il bravo librettista settecentesco, Giovanni Battista Lorenzi, saccheggiando a piene mani anche i libretti di altri e con l’occhio sempre rivolto all’originale cervantesco, ha costruito per Paisiello, una vicenda attorno al cavaliere senza macchia e senza paura, estremamente godibile. I versi scorrono con facilità. Tutti i personaggi hanno una loro fisionomia, sebbene spesso tipica;

Don Chisciotte invece sfugge alle argute stereotipie degli altri: vuol diventare matto, ma non ci riesce; è disperato e allegro e talvolta raggiunge, sia pur sfiorandola appena, l’allucinata e metafisica stralunatezza dei Don Chisciotte di S. Dalì; merito questo, in gran parte, della regia di Pino Micol; ma, ascoltando le note che Paisiello gli riserva, ci si accorge che il regista ha evidenziato qualcosa che è già nella musica. L’eroe di Cervantes acquisisce infatti una precisa fisionomia, ricca di agglomerati sonori, con improvvise scivolate nel minore, ninne nanne apparentemente incongrue e mille e mille altre trovate armoniche e melodiche di cui solo l’orecchio distratto potrebbe non cogliere la pregnanza fisiognomica con la quale astutamente costruiscono un personaggio ben disegnato e che sfugge alle facilità della tipizzazione.

Gli altri personaggi hanno musiche un po’ più convenzionali, mai però ovvie. Sempre la malinconia si intreccia all’allegria con stupefacente abilità. Talvolta un brivido del basso continuo getta addirittura un’ombra drammatica che svanisce subito. Qui bisogna stare allegri e sorridere; e il fine è pienamente realizzato.

Abbiamo trovato apprezzabilissima la messa in scena del Don Chisciotte di Giovanni Paisiello, che il Teatro dell’Opera ha realizzato al Teatro Valle, anche se la gustosa direzione di Pier Giorgio Morandi è stata ogni tanto tradita da un’orchestra un po’ distratta. Paolo Barbacini (Don Chisciotte), eccellente attore, si è fatto notare per la voce potente e per i bei vocalizzi, però non sempre è risultato preciso nei finali delle frasi e la sua dizione ci è parsa ambigua. Romano Franceschetto (Sancio Pancia) è stato eccezionale, con una bella voce pastosa, profonda e molto espressiva.

Maria Angela Peters (La Contessa) ha esibito una bella voce fluida e squillante. Elena Zilio (La Duchessa) pur espressiva, ha lamentato soprattutto nella prima parte, qualche difficoltà nel passare dai toni acuti a quelli gravi, ma si è ripresa più che brillantemente nell’ultimo atto. Mario Bolognesi (Don Calafrone) ha esibito una voce rotonda e aristocratica. Bruno Praticò (Don Platone) si è distinto per i bei giochi di caratterizzazione vocale. Brave anche Bernadette Lucarini (Carmosina), Francesca Arnone (Cardolella) e Annabella Rossi (Ricciardetta) .

Il gruppo dei Mimi si è ben mosso sui suggerimenti coreografici di Marta Ferri e le scene e i costumi di Ugo Nespolo hanno gustosamente ambientato la scena sotto un Vesuvio quasi futurista. Della regia di Pino Micol, oltre a quanto abbiamo già detto, diremo ancora che è stata capace di amalgamare il tutto con grande sensibilità «armonica» .