66 – Ottobre ‘90

ottobre , 1990

In un procedere molto poco hegeliano, per tesi ed antitesi, che ignora completamente ogni ipotesi di sintesi, si va, tra le altre questioni, dibattendo quella delle responsabilità individuali e/o sociali dei comportamenti cosiddetti devianti o perversi. L’austero prestigio scientifico di D. Bovet e la più mondana propensione a concedersi ai dibattiti della signora Rita Levi Montalcini hanno rimesso in gioco – a proposito della droga – meccanismi polemici ormai obsoleti. Società e cultura sembrano aver deciso di far succedere ad un periodo di paradossale e masochistica auto punizione che li induceva ad incolparsi puntualmente e totalmente di tutte le «disfunzioni» individuali e collettive di un mondo eternamente in crisi con la sua stessa ragion d’essere, una sadica epoca «giustizialista» che inchiodi ciascuno alle sue responsabilità. Così dopo il delirio antipsichiatrico che pretendeva la presa in carico per conto della società iniqua di ogni psicosi, riconosciuta immancabilmente come anelito di libertà, si gabella oggi il fallimento della legge 180 come una doverosa revisione dei suoi presupposti clinici, soltanto per far tacere del tutto il fallimento politico di ogni progetto psichiatrico. E ugualmente accade che vengano usate anche tesi scientifiche di tutto rispetto, che si riferiscono a problemi clinici e genetici di interesse universale, soltanto per costruire supporti pseudo-scientifìci ad un proibizionismo ottuso e vetusto che vede nel drogato il delinquente per viziosa determinazione. Se è vero che la società non può addossarsi nel bene e nel male -le responsabilità dei comportamenti individuali, è però vero che la somma di tali comportamenti finisce col dare il carattere ad un insieme sociale che scaturisce dall’interazione degli individui che ne fanno parte. Così ereditarietà, degenerazioni cellulari, insufficienze immunitarie inter-agiscono con una realtà ambientale che hanno contribuito a determinare. La sintesi (puntualmente ignorata) vorrebbe che la malattia fosse curata e il male fosse punito in entrambe le componenti:

individuale e sociale. Chiamare malato il delinquente e incriminare chi soffre sono due tra gli errori possibili di una politica sociale. I «distinguo» sono in ogni caso di natura ideologica e clinica allo stesso tempo. Il «Mea culpa» di un ‘intera società può essere un errore quanto l’accusa che isola ciascuno nella propria colpa. Se ne può uscire forse solo accettando una prati-ca – anche politica – che metta ciascuno per quel che lo concerne, di fronte alla propria diretta responsabilità: clinica e giudiziaria nelle grandi linee; morale e sociale in ogni quotidiano confronto con l’altro da sé, con quello che un antico eufemismo utopistico ci indicava come un prossimo da amare quanto noi stessi.