65 – Settembre ‘90

settembre , 1990

Chi non è capace di fare qualcosa sarebbe bene si astenesse dal farlo. La signora Von Trotta è senza dubbio una signora molto per bene, però non ha la benché minima nozione di cosa sia uno spettacolo cinematografico. Il suo film L’Africana appena presentato a Venezia è un esile fumetto infarcito di luoghi comuni e di tanta noia. La storia è questa: a Parigi due donne, perfide streghe, una l’ex amante e l’altra la moglie in carica, si strappano l’una dalle braccia dell’altra uno sciocco giornalista in carriera. Marta, l’ex amante, è diventata un medico che fa del bene in Africa; Anna, la moglie, si diverte a fare la malata di cancro; ma si diverte ancor di più a fare la sciocchina con due vecchi maghi che la spiano dalla finestra. Le due megere dopo che la malata è andata in pellegrinaggio per le fonti di Bretagna, guarendo dall’oscuro male, decidono di scappare insieme e senza l’uomo: in Africa. Il maritino è contentissimo, ma in un finale incomprensibile fa suo malgrado la valigia per andare a rompere loro le scatole. I due vecchiettini al fin della storia adocchiano dalla finestra un’altra coppia da prendere in trattamento magico e…si leccano i baffi. I dialoghi sono un coacervo insulso ed incomprensibile. Le sequenze si succedono con monotonia esasperante, commentate dalla musica di E. Lkaraindrou, eseguita da un’orchestra d’archi, più sax e pianoforte (a parte alcuni brani del repertorio classico) melensa e dolciastra, senza alcuna originalità, ma corretta armonicamente ed orchestrata con dignità professionale. La fotografia di Tonino Delli Colli dà il meglio del film, sia a Parigi, sia in Bretagna, con acute connotazioni sociali e paesaggistiche. Stefania Sandrelli anche qui si esprime col solito birignao lamentoso della donna sfatta e questa volta con la scusa del cancro perde ogni pudore. Barbara Sukowa è perfettamente nella parte: non riesce infatti a far sospettare nemmeno un ombra di sentimento in un corpo di pietra e negli occhi di ghiaccio. Sami Frey è un dolcissimo bambolotto che veste in un modo così attento i suoi panni di giornalista à la page da non riuscire a pensare ad altro. I due vecchietti risultano caratteri eccellenti, ora seguendo la regista in qualche citazione di Bergmann ora rifacendo il verso ad Hitchkock.