64 – Giugno ‘90

giugno , 1990

Ci si domanda se sia accettabile che un Papa di Roma possa confondere lo sport con quelle pratiche circensi che da sempre si fondano sulla violenza e l’ottuso entusiasmo di folle becere ed inconsapevoli.

Che il gioco del calcio possa essere stato, in qualche modo e per qualche tempo, una pratica sportiva fra le altre non può far dimenticare a nessuno quello che è diventato oggi: l’espressione di una barbarie che esalta gli aspetti peggiori e «plebei» dell’animo umano.

Non è vero, come si vorrebbe far credere, che la violenza sia solo un aspetto perverso e degenerativo del gioco del calcio; al contrario: esso ha ereditato completamente le funzioni di quei ludi circensi che nei tempi più nefasti della romanità imperiale concentravano nello stadio e nel circo la più obbrobriosa miscela di tirannia del potere e abbrutito asservimento della plebe.

Gli squallidi riti calcistici sono oggi l’equivalente di quelle antiche forme di negazione della dignità ed assoluta mancanza di rispetto per la vita umana; il tifoso è il nemico di quell’uomo che il cristianesimo insegna ad amare.

Quasi nessun altro luogo come lo stadio del calcio è palestra così efficace di corruzione giovanile: violenza, divismo, mercificazione di ogni valore trasformano i ragazzi in bande di rissosi imbecilli, minacce per la tranquillità di intere città e per la vita dei cittadini.

Pur senza voler fare paragoni tra l’odierna benedizione papale all’Olimpico e quelle che l’allora vescovo di Milano Cardinal Schuster impartì alle truppe italiane in partenza per la guerra d’Africa, ugualmente non si riesce a credere che Giovanni Paolo II abbia potuto in buona fede pensare che bastasse ricordare le vittime del lavoro, cadute per la costruzione di questi catini di spazzatura che sono gli stadi dei mondiali, per giustificare tutte le occasioni di morte, fisica e morale, che dentro ed intorno ad essi ogni giorno si prospettano.

Per non parlare poi (poiché sarebbe sospetta demagogia) dei costi iperbolici di queste nefande imprese finanziate dal pubblico denaro, a scapito di interessi ben più urgenti e significativi.

Quale maggiore utilità per la comprensione fra i popoli avrebbero avuto le stesse cifre spese per garantire salute e dimore dignitose ai lavoratori stranieri malcapitati ospiti di questo Paese?

Dispiace che il Papa non abbia ritenuto opportuno rifiutare la propria complicità ad un potere così arrogante da offrire al popolo, che oggi ha la stessa fame di ieri, soltanto l’elemosina dei «circenses» di sempre.