64 – Giugno ‘90

giugno , 1990

Klaus Kinski ha sceneggiato, interpretato e diretto il film Paganini.
Il grande concertista e grandissimo compositore genovese è sempre stato circondato da una leggendaria aura satanica. I suoi contemporanei ci tramandano le mirabilie delle sue straordinarie capacità virtuosistiche che hanno persino offuscato le sue qualità di creatore musicale. Tutt’oggi persone troppo frigide o troppo ignoranti musicalmente lo guardano con sufficienza e degnazione, divertendosi soprattutto ad ascoltare i moderni virtuosi impegnati nelle acrobazie sui loro violini, nel tentativo di riprodurre più o meno bene quella musica. Invece il segno lasciato da Paganini nella nostra storia musicale è grandemente significativo. La sua opera ha assai poco della civettuola frivolezza del tardo settecento italiano; si spinge infatti avanti nel primo romanticismo con impeto ed irruenza. Seppure estremamente rispettoso della forma, Paganini contorce l’armonia tradizionale fino a farla esplodere; costruisce melodie di grande bellezza e profondità; l’arditezza tecnica non è quasi mai fine a se stessa: indubbiamente alcuni momenti sono talvolta ripetitivi, però la genialità del compositore subito si riscatta, grazie alla straordinaria facilità d’invenzione.
Salvatore Accardo esegue praticamente durante tutto lo svolgimento del film la scintillante e malinconica musica del genovese, con straordinaria precisione ed efficacia, con purezza di suono unita ad un grandissimo calore; purtroppo vi sono alcuni sconsiderati che tentano di parlare sulla musica mentre sullo schermo passano immagini stupide, volgari ed idiote: donne che si masturbano o vengono stuprate, carrozze che vanno e vengono, un bambino che sconsideratamente strilla. Senza riuscire veramente a realizzare nulla Klaus Kinski si propone di raffigurare un Paganini oleografico ed idiota. I dialoghi fastidiosissimi come abbiamo detto, anche perché disturbano l’ascolto sono sciocche frasette che terminano sempre nell’ansimare della copula. La figura del grande artista non risulta affatto sensuale, né perversa, ma viene ridotta alla macchietta di un burattino che si contorce tra cosce, natiche e mammelle di donnacce che sembrano totalmente estranee a quanto accade. Anche le scene che vorrebbero essere drammatiche, come quella dello sbocco di sangue durante una esecuzione del violino, in cui persino Accardo viene costretto al delirio generale, sono soltanto noiose. Comunque Kinski non racconta la storia di Paganini, ma di un pederasta il cui figlio nevrotico si vendica succhiando con voluttà il cadavere paterno.
Le scenografie di Lentini e la fotografia di Santi si alleano nel frastornare lo spettatore con lo sfarzo degli ambienti affogato di continuo in un nebbioso e fastidioso effetto di controluce che stanca lo sguardo. Oltre a Klaus sono coinvolti nel porno-fumetto alcuni altri membri Kinski, più o meno piccini, oltre a nomi già rispettabili, come Bernard Blier, Marcel Marceau e Michel Piccoli. Le malcapitate femmine del set sono Dalila Di Lazzaro, Eva Grimaldi, Debora Caprioglio e Donatella Rettore (proprio lei).