64 – Giugno ‘90

giugno , 1990

A qualcuno piace di essere qualcun’altro, Edmund White, vorrebbe essere Marcel Proust; ma è soltanto Un giovane americano (Einaudi, 1990, pagg. 214, Lit. 26000) come si evince anche dal titolo del suo libro recentemente tradotto. Il romanzo è un’opera timida e sciocca, timida perché racconta alcuni episodi di penetrazione omossessuale con asettico distacco, sciocca perché sproloquia su sensazioni ed emozioni che sono irreali nella loro scandalosa ovvietà. La verità si annida nell’assurdo e non in queste semplicistiche descrizioni di padri panciuti, di madri e matrigne idiote e di segretarie innamorate di chissà chi. Perché i desideri sessuali bisogna paludarli necessariamente di descrizioni filosofico-moral-estetiche?
Proust è stato un vigliacco: uno scrittore moralmente immondo, detestabile e schifoso; i suoi occhietti cisposi e il suo ventre flaccido lo hanno difeso dal dovere di dichiarare ad un altro maschio: «Ti amo». Ed ecco un armamentario di paralumi di seta, mamme imbecilli e l’attesa per qualcuno destinato a non arrivare ma che gli permettono di sviluppare interminabili racconti di serate noiosissime in casa Verdurin, dove pianisti inesperti assassinano la grande musica.
Anche White, come Proust, gioca al grande scrittore, ma a differenza del francese non riesce ad esserlo in modo accettabile: è soltanto un checchino che circonda del freddo gelo di un obitorio le sue già frigide fantasie sessuali. Nelle sue pagine si affollano immagini scontate del padre sudato, nudo tra le lenzuola, deliri sadomasochistici di fughe impossibili e di mortificanti esperienze di «college». Tutte le pagine del libro risuonano proprio come quell’organo Hammond «…che cantava inni come una bocca senza denti, come se la musica fosse stata pane imbevuto ( latte» (pag. 212).