62 – Aprile ‘90

aprile , 1990

È semplicemente falso che la nostra epoca si trovi per la prima volta ad affrontare una forma imprevista ed originale di malessere sociale: la follia distruttiva dei giovani reduci dal ballo e dallo «sballo» del sabato sera.

I giovani, gli adulti e i vecchi di ogni tempo hanno conosciuto forme di malessere che li ha trasformati, di volta in volta, in protagonisti di forme distruttive ed autodistruttive, strettamente legate alle vicende dei loro ruoli sociali. Le crisi dei valori, l’assorbimento costante di messaggi di violenza, la forza annientatrice della paura, hanno accompagnato tutte le età dell’uomo, in tutte le epoche ed i luoghi della storia del mondo. Queste considerazioni non bastano però – ovviamente – a negare la presenza di Un problema preciso, qui ed ora, anche se è vero che è solo uno, e non certo il più allarmante, dei problemi. Sta di fatto che giovanotti e giovinette, non raggruppabili in alcuna categoria omogenea, se non quella che li vede più o meno uguali per età, dopo una serata passata ballando bevendo e fumando sfogano fa loro imbecillità rischiando la pelle – quel che è più grave anche quella degli altri – sulle strade e, autostrade, mal custodite, della penisola. E indubbiamente tragico che la vita degli esseri umani sia esposta a così peregrini rischi; per cui ben vengano tutte le forme di controllo, repressione e limitazione di libertà personale che, in qualche misura, possano attenuare il fenomeno e rendere meno pericolose le vie del mondo. Manco a dirlo, si è subito acceso in proposito un vero fuoco proibizionista, un ‘irresistibile gara alla ricerca della proposta più efficace, in grado, con la rigorosa arma del divieto, di salvare i giovani dalla rovina. Già con l’alcolismo, col fumo e la droga si è chiaramente sperimentato come il proibizionismo non riesca mai a dissuadere, ma tutt’al più a favorire intorno a sé la criminalità legata ad ogni tipo di traffico clandestino; per cui c’è da temere con fondatezza un sorgere di zone <<franche» dove procurarsi quel diletto o quelle sostanze altrove interdette; e che nei luoghi deputati e mafiosamente protetti costeranno somme che nessuna attività lecita potrà permettere di spendere. Ciò ovviamente senza nessun effetto educativo individuale o sociale sulle giovani generazioni.

I ragazzi di oggi, esattamente come quelli di ieri, sono soprattutto gli strumenti utili a realizzare intenzioni, sempre consumistiche, che loro non appartengono, o che, perlomeno, altri hanno deciso siano le loro.

Qualche volta è sembrato opportuno far vestire ai giovani divise di fogge diverse ed invitarli all’olocausto, in nome di qualche idealizzato nazionalismo. Altre volte si è puntato sul colore delle ideologie per giustificare l’annientamento suicida e la inconsapevolezza criminale. Oggi si rimprovera loro il vuoto dei contenuti esistenziali, che li ha resi indifferenti alla loro e altrui incolumità. Lo sforzo di allargare al massimo le aree dell’imbecillità sembra essere costante nella storia dell’uomo, oggi è appena un po’ accelerato, visto che, in tempo reale, il più becero dei messaggi può essere teletrasmesso, stampato e spacciato. Nessuno di noi – vecchie talpe – che urliamo indignati, ha qualcosa da offrire in alternativa a questi ragazzi, né tantomeno patisce per amor loro. C’è invece una specie di stizza che ci prende nel vederli sprofondare in baratri che non sono quelli che ciascuno di noi si è industriato di scavare sotto i loro piedi.