62 – Aprile ‘90

aprile , 1990

«Fabula Picta/Fabula Dicta» è il titolo di un’ampia e bella mostra, dedicata all’opera di Enrico Benaglia alla Galleria Rondanini, nell’omonima piazza, con il Patrocinio della Presidenza della Giunta Regionale Lazio.
La «fabula» di cui ci sembra voglia raccontare per immagini Benaglia è quella dell’umanità, sia osservata nel suo divenire storico-mitologico: da Adamo ed Eva in avanti; sia nei suoi aspetti più intimi come gli Incontri privati, o Il ballo nella stanza, o ancora I giochi sul balcone. In questa storia pare avere un posto privilegiato la musica: Giocando con Mozart, Concerto per un compleanno, Serenata, Dopo il concerto, Il quartetto e Lezione di musica.
Lì per lì quella del pittore sembrerebbe una narrazione solo giocosa: figurinette di carta, ritagliate da quaderni o giornali, che si muovono negli svariati teatrini del mondo e del tempo; i fiammiferi sparsi che devastano qua e là, in piccoli roghi la fragile indifferenza dei personaggi sono però un piccolo grido di allarme che non può essere ignorato.
Oggetti simbolici di metafisica solennità dominano talvolta la scena: forbici, mollette da bucato, uova e piume, armadi e paraventi; ma la derivazione dal surrealismo metafisico e simbolico acquista in Benaglia colori e forme peculiari; non rinnega le suggestioni dei più grandi: da Magritte a De Chirico; ma le sostanzia di una sua maliziosa perversità, per nulla infantile.
Coerente ed uniforme, questo «canovaccio» si svolge attraverso gli anni su uno sfondo pittorico di grande ricchezza cromatica, attraverso l’uso di una tavolozza di calda sensualità, ora solare ora notturna, che riempie gli occhi e stuzzica la fantasia.

Un senso di disagio ci coglie quando non riusciamo a capire, così ci siamo a lungo interrogati sui possibili significati da dare, o su quali chiavi di lettura usare dinnanzi ad opere come quelle che l’americano di origine italiana Baldo Diodato espone alla Galleria MR di via Garibaldi 53.
Nella grande sala campeggia una struttura di zinco smerigliato nella quale sono ritagliate due sfocate e colorate fotocopie di una celebre’ scultura classica in una della molte versioni marmoree della tarda romanità: l’Apollo del Belvedere! Sulle pareti della stessa stanza: «una serie di disegni, costretti nella lucentezza della resina e racchiusi in forme scatolari di lamiera, accompagnano la grande scultura». In effetti in piccoli disegnini a matita, su carta lucida sono imprigionate figurine tratte da opere scultoree dell’arte per lo più romana, come il Fauno danzante di Pompei, desolanti per il loro tono di faticati studi di un non molto dotato allievo di liceo alle prese coi compiti di figura. Se c’è il tentativo di esprimere qualcosa, è un tentativo fallito irrimediabilmente: sono soltanto sillabe balbettate che non riescono mai a formare una parola e tanto meno una frase.

Salvatore Fiume, celebre anche perché ultimamente le sue opere mietono successi alle aste televisive di quadri, espone in questi giorni in due diversi punti di Roma: uno stanzone al pianterreno di un bel complesso edilizio in via del Mascherino 2 a Borgo Pio che la targa d’ottone definisce Galleria Athena Arte ed in una specie di negozio di mobili semi-vecchi in via Andrea Doria 34 indicato come Galleria Studio A.
Sarebbe interessante fare uno studio sociologico per capire a quale categoria di acquirenti possono piacere così tanto i quadri in questione. Sono troppo volgari per essere sopportati da una signora, per quanto osée, nel proprio salottino borghese; il disegno è troppo approssimativo e i soggetti troppo scontati per piacere agli pseudointellettuali e pensiamo che il prezzo anche solo delle litografie sia troppo elevato per un garzone di bottega che si lasci suggestionare dai deshabillés di brutte donne seminude in calze rosse e con la rosa tra i denti!
Evidentemente a noi sfugge qualcosa di fondamentale, siamo solo sicuri che la pittura che abbiamo visto in queste due pseudo-mostre è una delle peggiori che abbiamo mai incontrato!