62 – Aprile ‘90

aprile , 1990

Nuovo Cinema Paradiso, con la regia, soggetto e sceneggiatura di Giuseppe Tornatore, da quando si è presentato sugli schermi, ha collezionato una miriade di premi; ed infine come degno coronamento ha anche ottenuto l’Oscar per il miglior film stramero.
Pensiamo che tutti ne conoscano la trama, che quindi riassumiamo dicendo solo che tratta la storia di un ragazzino, Totò, innamorato del cinema e amico dell’anziano Alfredo, operatore della sala parrocchiale in un paesino siciliano, che, dopo un incendio, prende il posto dell’operatore stesso il quale nell’incidente ha perso la vista.
Poi da quella cabina di proiezione partirà per conquistarsi un posto nel mondo del cinema a Roma, da dove lo richiama solo la notizia della morte dell’antico amico. Al Paesè lo attendono la visione del vecchio cinema che viene fatto esplodere per far posto ad un parcheggio ed una misteriosa eredità in pellicola di celluloide.
Il film unisce momenti di schietta tensione drammatica e poetica, per nulla banale, a momenti di scontato sentimentalismo e facili trovate; però non si avverte mai una reale frattura fra le due fasi. Il racconto scorre fluido e solo ad una riflessione successiva, per lo più, ci si accorge di essere talvolta caduti in tranelli di dubbio gusto.
Tutta la prima parte è caratterizzata dall’antologia di spezzoni di vecchi capolavori della storia del cinema che con il loro polveroso fascino dominano l’attenzione dello spettatore, mentre i personaggi vengono introdotti quasi con discrezione e si inizia a costruire la trama del tenace rapporto tra l’uomo e il bambino. Burbero e tenero l’uno, appassionato e malizioso il piccino. Al loro fianco c’è fin da subito un fiorire di gustosi personaggi: il prete che col campanello svolge la sua censura imponendo il taglio di tutte le scene di baci appassionati; la torma dei ragazzini, la coppia dei promessi sposi, i simpatici e gli antipatici e il matto del paese, «padrone» della piazza. Un po’ scontatamente si insinua che il piccino il quale ha perso il padre in Russia cerchi nell’operatore un suo sostituto, sui due però aleggia il bruttissimo, anche artisticamente, personaggio della madre rancida, rabbiosa, stupida e inverosimile: una vera nota stonata. Era ovvio che nell’incendio fosse il bambino a salvare eroicamente l’uomo prigioniero delle fiamme e che da quel momento nella sua cecità diviene saggio come un antico filosofo, capace anche di raccontare al fanciullo diventato adolescente e innamorato di un’angelica biondina, una parabola che è la chiave, ben nascosta, di tutto il film: «Un soldato vide passare la sua bella principessa e se ne innamorò. Per dimostrarle il suo amore le disse che sarebbe stato capace di rimanere cento giorni e cento giorni, immobile sotto il suo balcone. Pioggia, vento, caldo, freddo, mosche e zanzare lo riducevano ad uno spettro, ma il giovane non desisteva. Giunse infine la novantanovesima notte e la principessa era ormai conquistata. Però a quel punto avvenne questo: il soldato, voltò le spalle alla principessa e se ne andò per sempre». Alfredo dopo aver raccontato la storia a Totò gli dice: «Non chiedermi cosa vuol dire perché io non lo so!» Noi crediamo di averlo capito assistendo alla sequenza finale in cui Totò proietta sullo schermo le pellicole della misteriosa eredità: tutti i baci delle storie cinematografiche censurate nel passato si succedono uno dopo l’altro in una appassionata confessione d’amore a colmare il vuoto dei baci che i due non si erano potuti dare finché Alfredo visse.
Fanno da cornice a Philippe Noiret, l’operatore – efficace nel rendere il suo personaggio di volta in volta virile, ironico, affettuoso ed anche emblematico nell’ultima maschera del cieco – alcuni tra i migliori attori e caratteristi del nostro cinema: da Pupella Maggio, che impersona, riscattandone la figura, il personaggio tenerissimo della madre ormai anziana, Leopoldo Trieste, Leo Gullotta e Isa Danieli.
Dei tre attori che danno corpo e immagine al protagonista nelle varie età abbiamo trovato eccezionalmente bravo Marco Leonardi, giusto nella parte non solo per il fisico del ruolo, ma anche per la sua capacità di penetrazione nella psicologia dell’adolescente e del giovane uomo tormentato dai problemi dell’amore e della vita. Salvatore Cascio è un bambino troppo vezzoso per rendere realisticamente un personaggio così sfaccettato come quello del piccolo Totò, anche malizioso, bugiardo e sensuale. Jacques Perrin ha saputo con garbo far tacere l’urlante inverosimiglianza fisica nei confronti del suo personaggio con una recitazione contenuta e commossa. Ottime le musiche di Ennio Morricone: alcuni archi ripetevano un tema ossessivo e struggente, alternandosi con grande efficacia alle stridenti colonne sonore dei vecchi film. Molto gradevole e ben costruito il «tema dell’amore» di Andrea Morricone.