62 – Aprile ‘90

aprile , 1990

Tito Maccio Plauto, autore, interprete, realizzatore di una grandissima quantità di commedie, operante a Roma fra il terzo e il secondo secolo avanti Cristo, è tuttora vivo, scattante ed efficace. La sua ispirazione è colta, si riferisce alla commedia nuova ellenistica, però, rifatta, rimaneggiata e spesso stravolta per adattarla al gusto del suo pubblico romano non certo composto di raffinati filosofi. Spesso le sue commedie sono licenziose, ma l’oscenità e persino la scurrilità non sono mai fini a se stesse. Per uno dei più o meno prevedibili scherzi del destino è successo a Plauto che Antonio Calenda abbia un po’ fatto a lui quello che lui faceva ai commediografi greci: prendi di qua, rivolta di là, manipola di su, metti giù. componendo un grazioso pastiche con spunti tratti da Miles Gloriosus, Casina, Alularia ed Amphitruo. Il copione che ne risulta è assolutamente omogeneo; Plautus sembra un’opera unitaria, ricca di infiniti risvolti, tante facce di grande efficacia teatrale, persino quando trapassano in gags come quella degli spettatori, con lazzi e sputazzi di «fusaje», con irrisione di attori e scollacciate matrone. Contribuisce in modo determinante ad amalgamare tutti gli elementi la musica di Germano Mazzocchetti: briosa e sapiente, che, senza scadere mai in un folc1orismo arcaicizzante, sovrappone modulazioni ed armonie bizzarre a piacevoli momenti smaccatamente e gustosamente diatonici. Musiche e canzoni, canzoncine e canzonette, spumeggiano per tutto il tempo dello spettacolo, entrando ed uscendo dal filone narrativo con grande naturalezza.
Abbiamo trovato veramente geniale l’idea di usare come lingua un latino quasi plautianamente corretto. Non ci sembra proprio il caso di metterci qui a disquisire sulla pronuncia, che, bisogna dire, ricorda più quella del latino medioevale che non quella del terzo secolo a.c.: gli spettatori così risultano essere messi perfettamente in grado di capire quasi tutto, anche se non conoscono la lingua dei patres. La mimica degli attori colma ogni lacuna e l’uso astuto della ripetizione di parole chiave comprensibilissime riportano puntualmente al testo.
Più felice e straordinaria combinazione non poteva esserci tra la ricca inventiva del regista e lo straordinario mestiere degli interpreti. Forse è più giusto dire arte anziché mestiere, grazie alle eccezionali virtù artistiche di attori capaci di produrre incessantemente idee geniali ed esilaranti, che per alcuni di loro che conosciamo e seguiamo con interesse da anni sono, come usa dire, «di repertorio»; ma che per l’occasione erano aggiustate, adattate ad esaltare proprio quelle precise situazioni comiche.
Accanto ai tre «maggiori»: Anna Campori, Aldo Tarantino e Pietro De Vico, maschere perfette, dicitori impareggiabili, mimi e ballerini (la Campori) di estroso virtuosismo, ben figurano Dodo Gagliardi, Daniela Giovanetti, Silvia Gigli e inoltre abbiamo apprezzato l’inaspettata scoperta per noi del talento di Roberto Azzurro. Le scene e i costumi di Nicola Rubertelli suggerivano e connotavano, caratterizzavano e colorivano piacevolmente le figure sul fondo scuro.
Ancora una volta è avvenuto un piccolo prodigio in cui il teatro si è vendicato della leggerezza umana: quando siamo entrati in sala, l’abbiamo trovata invasa da un’orda berciante di studenti medi, poco disposti alla rassegnazione di un barboso spettacolo in latino, imposto dagli insegnanti di lettere e che reagivano scartando panini, chiamandosi da una parte all’altra della sala, sforzandosi persino di seguire con le radioline le partite del campionato europeo in onda contemporaneamente. Sono bastati pochi minuti perché il frastuono si mutasse in un ammutolito rispetto, trasformandosi subito dopo in convinta ammirazione e sincero divertimento.

Abbiamo ancora vivida in mente la bellissima mostra sui bozzetti di scena di Luzzati che abbiamo visitato a Reggio Emilia, nelle sale del Teatro Comunale Romolo Valli, che ci aveva dato l’impressione di trovarci davvero dentro un bosco, nel quale da ogni dove si affollavano immagini fantastiche e stupende, alcune delle quali anche in movimento o proiettate, come gli straordinari cartoni animati. Su tutto si diffondevano musiche eterogenee, che ci hanno poi dato una particolare emozione perché proprio al momento del nostro arrivo siamo stati accolti dai magici accordi dell’«ouverture» del «Flauto Magico».
Stessa intensissima emozione abbiamo ritrovato l’altra sera al Teatro delle Voci di via Bombelli, dove abbiamo visto la rappresentazione di un’opera singolare e vorremmo dire quasi unica come La mia scena è un bosco di Emalmele Luzzati, realizzata dal Teatro della Tosse, con la regia di Tonino Conte.
Come tutti sanno (!) il Teatro delle Voci è molto fuori mano, dietro al Forlanini sulla via Portuense; la notte era uggiosa, piovigginava e tutt’intorno incombeva lo scenario triste delle periferie notturne delle grandi città. Quando però ci trovammo davanti alla scena, fin da subito colma di «tutto», e qualcosa incominciò a muoversi, qualcuno a parlare e soprattutto esplose in tutta la sua sonorità la musica, rimanemmo presi nell’incanto perdendo la nozione del tempo, rabbrividendo talvolta di gioia, ma anche di paura, completamente perduti in quel bosco di oggetti, di gesti, di colori, di forme, dove il tempo veniva scandito da un ritmo di «carillon». I trilli della Regina della Notte si confondevano con le battute del «Jacques» sottomesso di Ionesco proseguendo in una valanga inarrestabile di citazioni, parole e gesti amalgamati dalla musica da cui tutto sembrava scaturire e per cui ogni cosa prendeva vita, finché Pulcinella con le parole del prete alla fine del rito disse «Andate è finita». La regia di Conte è stata ottima poeticamente e robustamente luzzatiana (persino quel pizzico di Lindsay Kemp che noi non amiamo non ci ha troppo infastidito). Il ritmico pulsare incessante si è dipanato senza cesure e senza storture, per tutto il lungo atto, giustamente senza intervallo. Bravissimi sono stati tutti gli interpreti: sensuali, burleschi, poetici, ironici: Gaddo Bagnoli, Veronica Rocca, Dario Manera, Pietro Fabbri, Lorella Semi, Bruno Cereseto ed Aldo Amoroso. La colonna sonora è stata curata dello stesso regista.