61 – Marzo ‘90

marzo , 1990

Se non fossimo in un mondo di imbelli, cretini e ignoranti la mostra di Palazzo Venezia, L’arte per i papi e per i principi nella campagna romana, grande pittura del ‘600 e del ‘700 sarebbe totalmente inutile e velleitaria. Un gruppo di fanciulle totalmente inesperte si sono pettegolescamente radunate per raccogliere in poche sale alcune opere splendide reperite in uno stretto ambito della campagna laziale che va da Ariccia a Frascati ad Albano e Genzano con lo stupidissimo pretesto di esporre un campione significativo di un genere e di un’epoca della storia dell’arte. Le opere esposte – e ce ne sono di pregevolissime – sono significative di un bel niente: si tratta soltanto di un mucchietto di quadri né più né meno significativi di altrettanti mucchietti possibili secondo i più peregrini criteri. È ovvio che i committenti di queste opere fossero Papi e Principi preoccupati di adornare nel migliore modo possibile anche le loro case e chiese di campagna; ma presentare questa realtà come la scoperta di un peculiare modo di riferirsi all’arte è ridicolo. Inoltre quello che viene esibito è pessimamente restaurato o malissimo conservato ed offerto all’esame dei visitatori in condizioni di illuminazione così indecenti che da tantissimi punti o il riflesso abbagliante dei riflettori sulle tele acceca totalmente. Noi consigliamo a quelle fanciulle di dedicarsi a più domestiche attività evitando ogni intromissione nei delicati campi dell’arte figurativa e della ricerca storica. Per inciso aggiungiamo che sono presenti alcuni nomi di richiamo come Pietro da Cortona o Mario de’ Fiori, accanto a qualche gradevole bambocciante fiammingo. Consigliamo inoltre di non perdere tempo a leggere gli sproloquianti cartigli appesi alle pareti che sono totalmente inattendibili.

Il titolo della mostra L’arte per l’ecologia, allestita alla Galleria Ca’ d’Oro di via Condotti ci ha lasciati molto perplessi ed anche scettici; pensavamo di vedere due foglie, una mela e una farfalla; invece con piacevole stupore abbiamo trovato immagini che ci aiutavano effettivamente a fantasticare sulla natura. Certo, i cretini sono sempre tali, e quindi le loro raffigurazioni su qualunque soggetto restano assolutamente idiote: così capita che qualcuno abbia aggiunto un albero al suo solito quadro per caratterizzarlo ecologicamente; ma a parte costoro che non riusciranno ad amare la natura più di quanto non riescano ad amare alcunché al di fuori di loro stessi, resta il fatto che in questa occasione ci è dato di parlare con piacere persino di alcuni pittori impegnati con l’informale, che qui non ha più nulla di astratto o astrattistico, poiché certe campiture di colore possono legittimamente evocare diafane superfici, metafisiche e quasi divine come lo sono le distese di un mare azzurro o il verde dei prati. Il cielo è un’esplosione di azzurro, la trasparenza dell’acqua si sfalda in segni traslucidi di pennello; il mondo vorrebbe essere ciò che forse non è più: una fantasmagoria di colori. Certo il rifiuto della forma è sempre a nostro parere un gesto di viltà, perché pigramente ci si nasconde dietro l’effetto di poche pennellate, senza esplicitare la posizione assunta nei confronti di un deterioramento che coinvolge l’uomo, la natura e il mondo. Noi che siamo provocatoriamente impegnati, preferiamo il coraggio di artisti come Giuliano Pini che indicano nella figura umana la disfatta temporanea e la speranza di approdare ad altri lidi, lasciando il disastro alle spalle, con dolore, ma anche con forza. Sentimenti questi espliciti nella scelta dei colori decisi, senza sfumature, nel segno robusto che ritaglia nervi e muscoli, tirati dallo sforzo e dalla determinazione a sopravvivere.
Su questa linea di impegno ci sono piaciute le opere di Bruno Caruso col suo naturalismo lontanamente caravaggesco; di Giuseppe Modica metafisicamente proteso su mari e cieli infiniti; il coraggioso atto di denuncia di Renzo Vespignani con la violacea macchia di una carcassa meccanica a minacciare una spiaggia già desolata; l’intimo raccoglimento della natura morta di Claudio Bonichi; il romanticismo esoterico di Ernesto Lombardo e quello mediterraneo di Mario Russo.
Mimmo Nobile con il suo Mare, gorgo blu di acqua e di cielo scandito da ripetute sagome antropomorfe e Massimo Luccioli con Errante alla ricerca del suo mare sono i due esempi di rarefazione estrema della forma che più ci sono parsi significativi nella loro capacità di rendere sentimenti cosmici di smarrimento in un mondo naturale sempre meno compreso e meno comprensibile dall’uomo.
Questa bellissima mostra è comunque una dimostrazione in più che l’astrattismo è una menzogna; anche sulle macchie meno identificabili la psiche umana inventa le forme di cui ha bisogno: il mondo è sempre il mondo a vergogna di chi pensa di poterlo negare!