61 – Marzo ‘90

marzo , 1990

Noi siamo spesso perplessi di fronte ad alcune scelte dei cosiddetti «intellettuali»; perciò ci ha lasciato ancora una volta esterrefatti l’idea di mettere in scena un testo orrendo, noioso, volgare e dissennato, oltre che verboso e sproloquiante, come Vinzenz e l’amica di uomini importanti, soltanto perché è stato scritto da Robert Musil, narratore di innegabile grandezza e poeticità. Riteniamo che sia interessante che vengano conosciute anche le opere meno riuscite dei sommi autori; ma siccome, tanto di questo testo quanto dei Fanatici esistono molte edizioni a stampa, esse basterebbero a chi veramente volesse conoscere tutti gli aspetti del grande romanziere austriaco; è penoso invece essere torturati per tre ore consecutive per conoscere quel che si potrebbe conoscere sfogliando a pizzichi un copione insulso.
L’espressionismo, in tutti i suoi aspetti, è un linguaggio artistico molto spesso tronfio e pettoruto; l’esasperazione del gesto, del segno talora trascendono in figurazioni eccessive e prive del senso dell’ironia Anche gli artisti dell’espressionismo sono stati capaci di toccare vette sublimi, beninteso; ma in casi come quelli del copione di cui ci occupiamo mancano totalmente capacità tecniche e poesia, mentre l’imbelle velleitarismo si manifesta in tutta la sua insopportabilità.
La stupidissima trama vorrebbe fustigare i costumi della corrotta società borghese primo Novecento, nella quale tutti sono cattivi e in malafede: uomini, donne e cardellini. Alfa, la protagonista, è amica d molti uomini importanti ed inoltre è invischiata in un legame torbido con una donna, molto simile ad una cagnetta petulante e sciocca; e frequenta stabilmente il giovane Vinzenz, truffatore intraprendente. Fino alla fine, la signora sembrerebbe la se la persona rispettabile, ma all’ultimo momento accetta di sposare un danaroso bieco barone, lasciando per lui il marito Vinzenz. Tanto poca è la capacità teatrale di Musil in questo testo, quanto grande teatralità hanno manifestato Giancarlo Nanni e i componenti della «Fabbrica de l’attore» nell’allestimento in scena al Teatro Vascello. Il regista disegna e costruisce figure incisive e su tutti dà modo con precisione al personaggio di Alfa di volteggiare spumeggiante, contrapponendole, anche ritmicamente, la gestualità di Vinzenz.
Manuela Kustermann permette ad Alfa di passare credibilmente e convincentemente attraverso una miriade di situazioni diversissime: miagolante, sensuale e tragica, capace di sovrapporre immagini ad immagini, come in un gioco di specchi. Bravissimo anche Stefano Santospago nei momenti di folle delirio o di desolata e ironica amarezza di Vinzenz. Attorno ai due protagonisti si muove un gruppo di attori intelligenti e versatili, sensibili all’impostazione registica, m senza rigidità di sorta: Lorenzo Alessandri, Tatiana Winteler, Giovanni Argante, Massimo Fedele, Gianluigi Pizzetti, Fabrizio Parenti, Enzo Saturni, con la partecipazione di Franco Alpestre. Le musiche sono usate da Francesco Verdinelli con discrezione e risultano efficacemente poliedriche: dalle atmosfere d’epoca a originali ed efficaci pressioni attuali. Piuttosto scontate e poco piacevoli le scenografie di Luigi Perego, con quelle geometrie di grattacieli grigi sul grigio dei fondali, e tante buffe scatole, scale buchi neri che non costruiscono mai un’atmosfera né riconducono ad alcun luogo.
Efficace e scorrevole la traduzione di Rocco Familiari contribuisce a facilitare il compito ad attori e pubblico.

Lo scrittore e drammaturgo di origine siciliana (1887-1956) Pier Maria Rosso di San Secondo, ha, nel suo teatro, assemblato con una certa abilità spunti pirandelliani, espressionisti e simbolisti. La sua scrittura è enfatica ed arroventata, ma non priva di una certa suggestività; le frasi emblematiche, le atmosfere irreali ed allucinate si dipanano con buon ritmo scenico anche se spesso fanno sorridere. Se la in scena non cade nel trabocchetto di recitare troppo sul serio le battute del copione, ma ha cura di velarle con un leggero e talvolta divertito distacco, come è felicemente avvenuto per merito di Giancarlo Sepe e degli attori della Comunità Teatrale Italiana nell’allestimento di Marionette, che passione! al Teatro Eliseo; allora allo spettatore si offre la piacevole sorpresa di godere di uno spettacolo scorrevole e non privo di momenti di patetica intensità. La storia è quella di due uomini: il Signore a lutto e il Signore in grigio, e di una donna: la Signora dalla volpe azzurra, che si incontrano in un momento, tragico per le rispettive esistenze, nell’ufficio del telegrafo. La disperazione e la passione rendono complici i tre in un pomeriggio speso tentando invano di ridare un significato plausibile alle loro vite. Malgrado l’aiuto della cantante, amica della Signora, i tre finiranno col perdersi, dopo che al ristorante è arrivato Colui che non doveva arrivare: l’amante della Signora. L’uomo in grigio svanirà, forse suicida; la Cantante non riuscirà a consolare il Signore a lutto e la Signora riprenderà il suo frustrante ménage: non persone ma marionette!
Fin dalla lettura del prologo, Aroldo Tieri fa sfoggio delle sue ottime qualità di attore, che si mettono poi in luce nelle successive fasi dello spettacolo: arguto, disperato, sempre efficace, Signore in grigio. Giuliana Lojodice è una Signora dalla volpe azzurra, abilissima nel rendere il suo personaggio con una tecnica quasi brechtiana di estraniamento; ma allo stesso tempo riuscendo in modo convincente a farlo vivere dal «di dentro»: Il Signore a lutto è reso con lugubre efficacia da Luigi Diberti.
La brava Franca Tamantini recita il personaggio della Cantante secondo una cifra tutta sua, legnosa e stralunata. Dell’efficiente ed intelligente impostazione registica abbiamo già dato atto a Sepe. Molto buono l’uso delle musiche scelte e montate dall’Harmonia Team. I costumi di Patrizia Menichelli e le scene di Almodovar (a parte ancora una volta i dannatissimi cubi) sottolineano giustamente le atmosfere suggerite dall’autore e dal regista.