60 – Febbraio ‘90

febbraio , 1990

Venerdì 19 gennaio siamo andati ad ascoltare il concerto di Maurizio Pollini (tutto Chopin!) all’Auditorium di via della Conciliazione per la Stagione Cameristica dell’Accademia di S. Cecilia, rilassati e disimpegnati, poiché non avevamo in programma nessun tipo di recensione. Riconosciamo che avevamo dipinta sul volto un’aria di antipaticissima sufficienza: «il solito Pollini, che suona il solito Chopin; indubbiamente bene, ma…» Invece, come da un po’ di tempo ci accade, questo maestro della tastiera ci ha disturbati, intrigati, entusiasmati, cioè non ci ha lasciati in pace. Noi siamo arcistufi delle scimmie ammaestrate, di cui oggi il mondo è pieno: pianisti, violinisti, contrabbassisti, clavicembalisti che suonano tutti con una perizia magistrale, impeccabili, ma senz’anima; tanto che, spesso, quello che di noi due è professionalmente compositore, prova fastidio, a mettere sui suoi spartiti e sulle sue partiture annotazioni di tempo, coloriti, etc. perché gli viene da dire: «Ma quei babbuini non avendo indicazioni, faranno lo sforzo mentale di interpretare per conto loro?» (non ci riferiamo certo a quei tre o quattro esecutori e direttori che hanno assimilato la musica di Gindro, l’hanno fatta propria e insieme con lui elaborano interpretazioni comuni che sortiscono risultati sbalorditivi). Nel numero scorso, lo stesso Sandro Gindro sì era lamentato di quegli interpreti che non sono capaci di seguire le prescrizioni degli autori: allora si contraddice? Neanche un po’: gli è che troppi interpreti, e non solo della musica di Gindro, credono di essere originali soltanto perché non rispettano le indicazioni scritte; ma poi risultano assolutamente piatti, stantii ed anemici in tutte quelle parti prive di annotazioni. Ritorniamo a Maurizio Pollini: la prima parte del suo concerto era costituita dai Ventiquattro Preludi dell’op.28 che egli ha eseguito con un acume ed un’intelligenza strabilianti; tanto che la maggioranza del pubblico, composto da imbecilli (e lo abbiamo capito dai commenti nell’intervallo) è rimasta esterrefatta e spiazzata: applausi scroscianti, ma non convinti. Il pianista ha infatti dato una lettura originalissima del grande compositore polacco, riuscendo a dimostrare quanto Chopin sia stato un grandissimo armonista; altro che piccole melodie per languori di signorine in menopausa! O damigelli senza barba! Le melodie erano presentate con equilibrio perfetto, sobrio ed asciutto e gli pseudo-accompagnamenti rivelavano tutta la loro profondità e originalità armoniche; Pollini negli accordi e negli arpeggi riusciva sempre a mettere in evidenza la nota dissonante che, collegandosi alle altre, costituiva quasi una melodia bitonale; il tutto con un risultato assolutamente sbalorditivo. Chopin era assolutamente rispettato ma non puzzava più di naftalina. Nel secondo tempo il pianista ha concesso un po’ di più al pubblico nei due Notturni in do diesis minore e in re bemolle maggiore dell’op. 27 e nello Scherzo in si bemolle minore dell’op. 31, nei quali ha ritrovato un pianismo più consueto, sempre di bellissimo equilibrio formale, che ci ha però permesso di ritrovare, non senza piacere, i tempi rubati e i ritardi prescritti dalla buona tradizione. Sempre nel secondo tempo non ci è piaciuta invece la Berceuse in re bemolle maggiore, suonata velocissima, con trasparenze di ghiaccio che tentavano di renderla troppo simile ad un brano di Debussy (nessuno dormirebbe ad una siffatta ninna nanna così ansiogena). Una vetta splendida di interpretazione il maestro l’ha comunque raggiunta nella Ballata in sol minore op. 23: l’equilibrio tra pianissimo impalpabili e forte densi e drammatici, tra momenti di malinconia e di drammaticità si stemperavano gli uni negli altri senza soluzione di continuità (come mai quei pedali miagolavano?). Assolutamente esilarante è stato il secondo bis concesso, dopo un impeccabile Studio op.25 n.1; il travolgente Studio n.11 della stessa op.25 Pollini l’ha suonato nel modo più funambolico e virtuosistico immaginabile; proprio come per dire al pubblico romano: «Se questo è quello che volete, eccovelo!» Due immense donnone al nostro fianco applaudendo strillavano: «Bravo, che bravo, adesso che si scalda vedrai che suonerà ancora meglio!» E noi immaginavamo Pollini suonare le Sonate di Chopin in cinque minuti e cinquanta secondi e poi prendere l’aereo e fuggire per non tornare mai più in questa terra di incompetenti. Riconosciamo che queste nostre affermazioni sono di acida invidia; crediamo infatti che faccia molto piacere riuscire a coinvolgere un pubblico così numeroso fino a un tal segno!