Psicoanalisi contro n.59 – Il trave e la pagliuzza

gennaio , 1990

Io penso che nella cultura occidentale, gli scopritori, gli «inventori» della psicoanalisi siano stati innumerevoli. Giustamente, poiché la realtà dell’inconscio che la psicoanalisi ha teorizzato è patrimonio dell’uomo da sempre e sempre ne ha regolato la vita di ogni giorno. Ciò che è specifico del nuovo atteggiamento verso l’inconscio è però la dimensione che si è definita poi «psicoanalitica». Sigmund Freud con l’ingenuità e il tenero entusiasmo degli iniziatori ha tentato di organizzare pensieri e riflessioni presenti nella cultura del suo tempo e in quella ebraica delle origini: Abramo, terribile padre, Isacco, sciocchissimo figlio (o anche Abramo, sciocchissimo padre ed Isacco, terribile figlio): il figlio si fece beffe dell’autorità paterna, con l’aiuto di un angelo. L’angelo era uno psicoanalista. Qualcuno potrebbe obiettare che l’angelo era invece l’inconscio. Chi era Abramo, chi era Isacco, chi era l’angelo? La psicoanalisi appartiene all’umanità da sempre; da sempre gli uomini sanno e dicono il contrario di quello che vogliono dire. Chi non conosce Sardanapalo e la Regina di Saba o Salomone? Talvolta un angelo interviene e talvolta invece il suo intervento manca. Bisogna diventare molto accorti: se l’angelo interviene forse un poco di verità scende ad illuminare il comportamento degli uomini, come accade al vecchio Tobia: «Dammi la mano! io non vedo, ma tu sì!» Tocca all’arcangelo Raffaele scendere in soccorso dell’uomo, ed io lo aspetto, tranquillamente seduto. Fuori è una gelida mattinata d’inverno, c’è tanto sole, ci sono gli ulivi, ci sono i miei due cani bianchi, uno grande, solenne; l’altro piccolo, che ti azzanna e ti bacia senza soluzione di continuità; nel freddo del mattino assolato ci sono le pecore e c’è il pastore, il suono dei campanacci; e già in un precoce gennaio è fiorita una violetta.
Questo è il mondo e questa è la vita: la psicoanalisi non l’ha inventata nessuno. Freud annidato al 19 di Berggasse ha solo finto di inventare una scienza che nessuno poteva inventare, ma noi gli siamo ugualmente riconoscenti perché ci ha insegnato ad illuderci che la storia cammini.

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I più efficaci sostenitori della psicoanalisi e i suoi migliori fautori sono coloro che non ci credono e che non credono a nulla. Bisogna non credere ai cumuli di scempiaggini che ci raccontano da sempre, ripetute con frasi sempre uguali, vecchie e nuove, ma comunque inutili, come tutte le affermazioni di verità. Fondamentale è invece convincersi che non si è capito nulla: di Omero, del Redi, di Kant, di Wittgenstein, i quali hanno un loro meraviglioso significato, che non capiremo, però, mai! Oggi c’è aria di cambiamento nell’Europa Orientale e una piccola coppia ha conosciuto improvvisamente la grandezza della tragedia dopo una vita tutta meschina; ne parlano con sconcia oscenità i giornali e le casalinghe, finalmente appagati di aneddoti, soddisfatti di ridurre così il significato di una rivoluzione di popolo; come se il male fosse possedere qualche pelliccia o i rubinetti d’oro, o coltivare qualche aspetto di sessualità più o meno licenziosa; ma nessuno ha davvero il diritto di giocare con la vita altrui, scatenando fantasie e sogni di un popolo. Solo è degno di rispetto quel generale che si oppose al massacro della folla e che per questo fu ucciso dal dittatore che svuotò contro di lui l’intero caricatore della sua rivoltella. Tutto quello che non si esprime come assunzione di responsabilità personale non ha gran senso e anche le leggende di una rivoluzione sono fatte per ingannare lo stesso popolo che lotta. È comunque più spregevole chi specula su leggende più o meno destituite di fondamento che gli stessi tiranni che il male l’hanno compiuto davvero.

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Freud non ha inventato la psicoanalisi; egli era un medico ottocentesco che temeva di morire a cinquantatré anni, di angina pectoris, morì invece di cancro molto più tardi, a ottantatré anni, forse anzi morì solo di stanchezza; come certo accade a moltissimi uomini. La vita è faticosa, il suo peso grava sulle spalle dell’uomo, che spesso procede a fatica in un mondo pieno di cose strane e di cose stupide. Non so se sia peggio e più faticoso affrontare la stranezza o la stupidità.
Si narra che Gesù abbia detto: «Perché tu vedi la pagliuzza nell’occhio del tuo prossimo ma non ti accorgi del trave che c’è nel tuo occhio!» Anche Gesù può essere ritenuto fondatore della psicoanalisi, solo che è stata, la sua, una figura troppo grande perché gli uomini lo prendessero sul serio.
Se la psicoanalisi l’ha inventata Gesù, Sigmund Freud, ebreo e post-cristiano, non ha fatto che ripetere qualcosa che aveva nelle orecchie da sempre. La psicoanalisi si realizza ogni volta che qualcuno dice: «Ciò che è in me non è solo in me e quello che è negli altri è anche in me». Si tratti di una trave o di una pagliuzza. Sigmund Freud è una figura persin troppo facilmente attaccabile; anche per lui vale quello che vale per tutti gli uomini coraggiosi, piccoli o grandi: sempre li si trova circondati dal brulichio di vermiciattoli che strillano allo scandalo e accusano. Io in questo inizio d’anno 1990 voglio riaffermare definitivamente la mia stima per Freud e voglio liberare il campo dai vermi di ogni specie, anche da quelli che si chiamano Jung, Klein o Lacan. Per quante sciocchezze abbia detto e fatto il grande clinico viennese della Berggasse, grandeggia ugualmente su tutti gli altri che ho nominato e che ho tralasciato di nominare.
So bene che a suo tempo nel mio pellegrinaggio a Vienna non volli passare a quel famoso indirizzo, tutto preso dalla visita dei santuari di un altro più grande, che venuto da Salisburgo lì risplendette brevemente per poi morirvi troppo presto e troppo tristemente; ma ricordo che quando il tram sferragliante, oltrepassava quella famosa fermata io sentivo un turbamento prendermi.

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Forse Freud stesso ha fatto come colui che non vede il trave che è nel proprio occhio, tutto intento a curare l’occhio del prossimo turbato dalla pagliuzza; e anche in ciò sta la grande differenza tra un piccolo clinico e un Salvatore del mondo; poco è cambiato, con o senza Freud in questo ultimo centinaio d’anni nella città attraversata dal Danubio.
Oggi è molto facile giocare con il concetto di pazzia. La storia della follia ha conosciuto grandi momenti, che corrispondono a quattro diverse concezioni: la prima che attribuiva la follia allo sciamano il quale proprio per la sua eccezionalità, evidente anche nella singolarità della sua identità sessuale, riusciva a dire agli altri uomini verità utili a risolvere problemi personali e di rapporto sociale; la pazzia dello sciamano era caratterizzata dalla rivelazione della verità e poco cambia che forse questa teoria sia più che altro frutto del delirio di qualche antropologo che in questo modo ha creduto di leggere il destino di alcuni malnati delle steppe siberiane, aggiungendo alla realtà quella magia che è spesso solo il sogno degli imbecilli. Un’altra concezione fondamentale della pazzia fa riferimento alla figura del pazzo-buffone, capace di dire la verità sgradita anche ai più potenti della terra.
Oltre a queste concezioni che potremmo definire in qualche modo letterarie della follia, c’è stato anche un tentativo di definirla «clinicamente»; poi, vista l’impossibilità di giudicarla su basi sufficientemente valide in generale, si è preferito, anche a suon di leggi, decidere che la follia non esiste.
Purtroppo, invece, di follia si vive e si muore ogni giorno in una realtà che è tante più misera quanto meno è compresa.

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Ho detto che Gesù con la sua massima della pagliuzza e del trave aveva già esplicitato il principio da cui deve partire una visione psicoanalitica dell’uomo e del mondo; ma di certo la verità indicata da Lui è ben più grande della piccola verità clinica di questa misera scienza borghese.
In che rapporto allora stanno verità e psicoanalisi? La prima annichilisce e sconvolge, la seconda invece tranquillizza ed aiuta, anche perché lo psicoanalista deve farsi pagare un onorario che gli serva a sopravvivere, dicendo in cambio le piccole verità psicoanalitiche. Gesù ha pagato invece di persona il prezzo della sua Verità.
Qualcuno ha accusato il Cristianesimo di essere una religione di morte, con un crocefisso per emblema; ma chi lo dice non ha capito che da quella Croce il Cristo è risorto; non mi importa qui appurare la veridicità storica della Resurrezione, ma mi importa il significato che la fede in questa resurrezione ha avuto per il mondo.

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In questa chiacchierata di inizio d’anno vorrei evitare ogni compromesso e vorrei dire che accettare le mie proposte di vita e di scienza non è facile; ma a me non interessano scelte poco impegnative, poiché so che vivere bene e con coerenza non è comunque facile. Certo la mia proposta di vita non lascia spazi all’evasione e alla logica televisive; di quel finto buon senso non tollero che ci sia traccia intorno a me. Mi sono reso conto purtroppo che la realtà quotidiana è affollata di persone meschine che in tutta la loro vita trovano soltanto nel momento della morte un barlume di eroismo, dopo un’esistenza imprigionata tra pomeriggi allo stadio e spaghettate. Non ho fiducia negli uomini e nelle donne che vivono intorno a me, non credo né ai giovani né ai vecchi, sono tristemente certo che gli esseri umani siano stupidi, capaci di costruire solo stupidità per sé e per gli altri. Oltre che stupidi sono tristi, volgari, sporchi e brutti. Io non voglio credere tuttavia di essere uno di costoro, anche se mi rendo conto che molto sudiciume mi è rimasto addosso.

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Forse queste righe hanno deluso chi si aspettava un articolo di psicoanalisi, ma mi sono accorto che, benché faccia il mestiere di psicoanalista, ho tuttavia bisogno di sentirmi vicino a Colui che ha narrato la parabola della pagliuzza e del trave, vicino a una Verità al confronto della quale il resto perde significato, diventa frammentario e grottesco.
Forse basta aver letto bene un libro solo per sapere davvero. Io che ho letto e continuo a leggere molti libri non vi ho mai trovato nulla di più di quanto sia stato detto nella Bibbia. Nell’Antico e Nuovo Testamento è contenuta tutta la verità di cui ho bisogno. Perché allora lotto ancora contro alcuni ed insieme ad altri perché ciascuno riconosca la pagliuzza nell’occhio dell’altro come il trave nell’occhio proprio? La strada è disseminata di asperità, anche perché ad ogni angolo sorgono fantasmi spaventosi che non danno tregua. Inoltre nessuno sa dove essa conduca davvero. Io immagino che porti in un luogo meraviglioso, popolato soltanto di persone da amare e che mi amano, cani da stringere, sotto un cielo di stelle. Questa è la frottola che mi racconto per farmi coraggio. Dopo molte giravolte questa strada riconduce al punto da cui sono partito, alla mia casa. Novalis lo sapeva che si parte e si finisce per ritrovare esattamente ciò che si è lasciato; io so invece che niente sarà come l’ho lasciato perché se così fosse non tornerei mai più.

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Il percorso che ho tracciato fin qui non è rigorosamente logico. Logica e coerenza sono elementi importanti, ma io preferisco liberarmi anche da queste pastoie, colorate di buon senso. Vorrei dire ciò che sono e parlare di ciò che vorrei; vorrei iniziare tante avventure in compagnia, vorrei fantasticare, vorrei che qualcuno accettasse di correre con me verso l’avventura. È troppo facile dire che una di queste avventure è la psicoanalisi; io mi sono stancato della psicoanalisi, preferisco tentare, ora che sono esperto nel trovare le pagliuzze nell’occhio altrui, di vedere il trave nel mio occhio. Questo è il gioco. Sulle rive del Danubio si beve vino rosso e si mangia carne d’orso, oggi come al tempo del piccolo ebreo Sigmund. Un altro ebreo, un uomo grande come un Dio, mi è venuto in soccorso per tempo: ora ho visto il trave nel mio occhio. Buon Anno!