59 – Gennaio ‘90

gennaio , 1990

Gli anni ottanta si sono chiusi in modo decisamente clamoroso; anche se però, forse, questo eccessivo clamore serve a coprire una diversità di accenti che non risuonerebbero così all’unisono, se meglio analizzati. È infatti solo una giornalistica ansia di sensazioni forti che ha fatto del crollo del muro di Berlino e della fine della dittatura dei Ceausescu segnali del crollo del comunismo analoghi alla riforma dello stato e dei partiti in Polonia ed Ungheria.

Quello stesso snobismo pseudoculturale che imponeva fino a poco più di dieci anni orso no un’analisi dei fenomeni della politica e dell’attualità tutta in chiave anticapitalistica, oggi vuole imporre una lettura dell’attualità tutta in chiave anti-comunista.

Il manicheismo, del resto, è un male che, ancor più del qualunquismo, affligge ed inquina il giudizio umano e non da oggi soltanto.

Spaccare costantemente il mondo in due parti, decidendo sempre di sceglierne soltanto una per gettare via l’altra, è un errore che tutti compiamo troppo spesso e la politica è diventata il settore in cui un tal genere di approssimazione è non solo consentito, ma addirittura imposto.

Per questo ci ritroviamo tutti, prima o poi, ad ogni levar di vento, orfani di ideologie, sempre precocemente defunte.

Spiace far cadere qualche illusione; ma i grossi cambiamenti, alla luce dei quali gli anni novanta hanno preso il via, non giustificano entusiasmi e soprattutto non consentono a nessuno di spaccare ancora in due parti la mela del mondo.

È difficile, infatti, credere che l’operazione di polizia che ha portato all’arresto di Noriega sia un esempio lampante di trionfo della libertà del popolo panamense (tra l’altro: cosa sarebbe accaduto se i due Ceausescu avessero chiesto rifugio alla più vicina nunziatura vaticana?)

Per quel che riguarda invece casa nostra non si tratta oggi soltanto di cambiare nome ad un partito di opposizione; ma è il momento di capire che deve cambiare il giudizio sulla politica; o meglio ancora: deve cambiare il giudizio della politica, specialmente di governo.

Questo cambiamento si impone, però, in uguale misura ai .partiti e agli uomini che credono di cavalcare con successo la tigre.

Nessun muro è crollato in Aspromonte e troppi ne sono crollati a Palermo: lo Stato, la politica, l’economia e la cultura non si sono scrollati di dosso la piovra che tutti ci soffoca. Solo la beceraggine giornalistica e televisiva possono farci credere che abbia dignità civile avviarsi verso il duemila, paghi di una esistenza sempre più piccina, abituati alla morte degli altri e terrorizzati dall’idea che domani possa essere il nostro giorno «senza più dopo».