58 – Dicembre ‘89

dicembre , 1989

Non sappiamo se ci siano tanti modi di essere razzisti oppure sia sempre lo stesso modo; siamo però certi che il film del Georgiano Otar Iosseliani Un incendio visto da lontano, sia razzista. La favoletta hollywoodiana che narra di un villaggio del Senegal dato alle fiamme come contributo all’avanzata del progresso del mondo meccanizzato, non solo è un film stupido, antropologicamente inconsistente, ma essenzialmente, appunto, razzista.
Il mito del «buon selvaggio», in questa pellicola adombrato, è riferito ad alcuni personaggi che più che buoni risultano cretini. In un villaggio dove vige un ordinamento sociale pseudo-matriarcale accade una serie di piccoli episodi ovvii e scontati: gelosie, danze della pioggia, un marito pigro, ragazzini petulanti, qualche misterioso rito dal sapore magico, un altro marito che va in cerca della moglie scappata di casa, canti in coro troppo occidentalmente intonati, qualche tam-tam usato nella più vieta chiave di comunicazione telefonica; per di più passa ogni tanto un emblematico autocarro simbolo della «civiltà industriale che distrugge l’antica civiltà».
Alla fine, felici ed imbrogliati, i buoni selvaggi, rifiniti e rivestiti, si trovano a vendere i loro feticci sul marciapiedi della grande città, dandosi appuntamenti per un probabile party serale. Stupida, arida, e senza amore, la vita del villaggio prosegue identica nella nuova città: per i negri, razza inferiore, non c’è speranza. Forse le intenzioni di Iosseliani non erano precisamente queste, ma l’effetto che la sua opera sortisce negli spettatori è quello di far trovare frivola, vacua e satura di valori convenzionali la vita dei «selvaggi». Forse, ripensandoci bene, è meglio vivere nella città, dopo essersi sbarazzati degli antichi idoli.
Sarebbe adesso molto facile assumere da parte nostra un atteggiamento saggiamente paternalistico e dire che il regista non ha colto che alcuni aspetti inessenziali di quella società, perdendo la grande ricchezza e profondità di quegli antichi riti e delle raffinate melopee; ma più scomodamente, preferiamo dire che nelle foreste ci sono villaggi in cui albergano anche la violenza, la brutalità, la sopraffazione e, soprattutto, il conformismo. È persi n troppo ovvio che gli africani non sono esseri inferiori, ma, appunto per questo, non sono neppure migliori. Il film è in lingua originale, con (pochissimi) sottotitoli.