56 – Ottobre ‘89

ottobre , 1989

La prima parte del XXVI Festival di Nuova Consonanza si è inaugurata, domenica 8 ottobre, con due concerti del ciclo ‘Il mito del primitivo nella musica moderna’. Prima il Gruppo Gamelan ‘Bhinneka Tunggal Ika’ diretto da Dewa Putra Diasaha ha presentato musiche dell’isola di Bali e poi l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta da David Robertson, con Giuseppe Scotese al pianoforte e Jeanne Loriod alle onde Martenot ha eseguito la ‘TurangalilaSymphonie’ (1946-48) di Olivier Messiaen. A questo primo confronto seguiranno quelli dell’orchestra Tzigana ‘Antal Szalai’ con il Quartetto Eder di Budapest il 19 ottobre e poi il gruppo di percussioni ‘Rasancuma Itza’ di Costa Rica con ‘Les Percussions di Strasbourg’ il,30 di questo stesso mese.
Gli altri due cicli del Festival sono dedicati l’uno all’indagine ‘Intorno alla II Scuola di Vienna’ e l’altro consisterà in una ‘1 a Rassegna di compositori contemporanei italiani’ che si terrà dal 4 al 16 dicembre all’auditorium del Foro Italico.
L’opera di Messiaen è tra le sue più note, estremamente interessante soprattutto perché in essa il tenero, mistico, eroico e grande compositore ha il coraggio di essere assolutamente spudorato. E seduttorio ed ammiccante, non disdegna neppure sensuali e facili richiami al jazz nordamericano, per poi disegnare ampie piaghe di profondissima musicalità in cui l’orecchio si smarrisce in meandri sonori misteriosi e raffinatissimi. Temi semplici e tonalissimi si intrecciano e si sciolgono entro agglomerati armonicamente indecifrabili, caleidoscopicamente imprevedibili eppure consequenzialissimi. Gli strumenti dell’orchestra sono continuamente rispettati nella loro natura fisiologica. Una delle cose che ci ha sempre entusiasmato di Messiaen è il fatto che, come cattolico praticante, non solo professa il più assoluto rispetto per il valore della vita umana, ma anche dimostra di trattare con devozione la voce, il corpo e la natura degli stessi strumenti musicali;
che non sono mai violentati; persino l’uso vagamente pleonastico delle onde Martenot (strumento elettronico d’invenzione francese) che si inseriscono con bramiti e svettanti melodie, si amalgama nella complessiva sonorità orchestrale senza sforzo, con gradevole e ingenua semplicità. Nonostante gli aspetti ironici, grotteschi e talvolta persino leggeri, la trascendenza si insinua dovunque: la voce del divino mistero si annida negli accordi e negli intervalli e soprattutto nel variopinto canto degli uccelli.
Il nome di sinfonia si addice a Turangalila per la sua caratteristica di essere costituita dalla successione di più temi i cui quattro più importanti, che ciclicamente ritornano, subiscono ricche elaborazioni; per un altro verso, per l’importanza del ruolo del pianoforte, spesso solista, potrebbe invece essere considerata un concerto per pianoforte ed orchestra. Il titolo deriva da due parole sanscrite Lila che significa gioco, ma anche amore e Turanga che rende il significato dello scorrere del tempo,del movimento e del ritmo: quindi inno alla gioia, all’amore, al movimento, alla vita e alla morte.
Articolata in dieci movimenti, l’opera è unificata dai quattro temi principali: il primo, per terze, per lo più affidato ai tromboni, ha un che di statuario; il secondo, a due voci, affidato ai clarinetti ha sfumature tenere di colore; il terzo e più importante, detto anche il ‘tema dell’amore’, ha la sua cellula fondamentale in un salto di sesta discendente; il quarto è un tema di accordi che fornisce cangianti fondali sonori.
La direzione di David Robertson è stata quanto mai sensuale ed accattivante, riuscendo a cesellare con grande espressività tutte le variegate gamme sonore; gli perdoniamo qualche leggera imprecisione negli attacchi e una certa propensione ad indulgere ad un piglio eccessivamente americaneggiante. L’orchestra è stata splendida, soprattutto nelle sonorità, ora diafane ora corpose. Brava la Jeanne Loriod alle onde Martenot. Bravissimo sopra tutti è stato però Giuseppe Scotese: espressivissimo e mai sdolcinato, molto equilibrato, trovava nella tastiera suoni piano, vellutati e percepibilissimi, passando poi a momenti di forte ritmicità; alcuni passaggi, semplici all’udito, ma molto difficili per la mano del pianista erano eseguiti con esemplare naturalezza.
Il pubblico attento ha molto apprezzato l’opera, l’esecuzione e le intenzioni degli organizzatori.