56 – Ottobre ‘89

ottobre , 1989

I fustigatori dei costumi sono sempre esistiti; si dividono in due grandi categorie: la prima è quella di coloro che sanno essere partecipi fino in fondo delle realtà del loro mondo, ma sanno anche prenderne le distanze, renderne una spietata e dolente immagine, senza però rimanere coinvolti dalle piaghe che condannano; la seconda categoria è quella dei velleitari che, forse, se pur carichi di buone intenzioni, non riescono ad essere altro che l’espressione più trita ed ovvia del male che denunciano. In questa seconda categoria noi collochiamo senza esitazione Nanni Moretti e il suo film Palombella rossa.
Innanzitutto, chi vuoi raccontare qualcosa deve avere almeno gli strumenti linguistici per farlo; e non significa avere una qualsiasi possibilità di comunicazione, ripetere per novanta minuti quattro battute e sei sequenze, senza per altro aver l’aria di accorgersene. Ce ne siamo invece resi conto noi, che siamo morti di noia! Inoltre non è possibile fustigare il linguaggio qualunquistico e convenzionale degli altri, esprimendosi a propria volta sempre e solo con frasi fatte, senza per altro, ancora una volta, dimostrare di accorgersene. Non si può cercare di essere spiritosi e fare una squallida parodia di ‘Quelli della notte’ che, al confronto, diventano Aristofane e Molière. Non si può cercare di essere ironicamente anticonformisti imitando nel modo più smaccato gli aspetti più retrivi e reazionari di Woody Allen. Non si può cercare di parodiare un sentimento poetico sbattendo in faccia agli spettatori qualche lagrimevole scena del dottor Zivago, a pezzetti e a bocconi, ripresa da un teleschermo. Non ci si può spacciare per grandi filosofi che hanno capito il più profondo significato dell’esistenza abbozzando alcuni personaggini che malamente imitano Ionesco, con una espressività rozza e tronfia da ragazzotti mal cresciuti. Non si può fingere dolente accoramento sulle tristi sorti della situazione politica riprendendo le più trite ovvietà ripetute dai giornali a proposito del PCI. Non si può sperare di sembrare assolutamente originali, risultando assolutamente prevedibili: era fin troppo ovvio che il deputato comunista, smemorato e giocatore di pallanuoto, avrebbe sbagliato il rigore decisivo per le sorti della partita. Non ci si può intenerire sull’infanzia, quando il suo ricordo viene ridotto ad una serie di spot pubblicitari dei formaggini.
Non si può pretendere di recitare quando non si ha alcuna capacità espressiva, drammatica o comica, sentimentale o ironica.
Qui noi ci sentiamo in dovere di chiedere scusa a registi, sceneggiatori, attori e musicisti che sono stati, in occasione di alcuni loro film, strapazzati o canzonati: se ci ripensiamo, in confronto a quello che abbiamo appena visto, i loro sono tutti capolavori. Secondo noi (e ripetiamo, umilmente, secondo noi) Nanni Moretti sa fare benissimo una cosa sola: cantare stonando.
Se dovessimo giudicare il successo del cinema di Nanni Moretti da quest’ultima opera, dovremmo trarre tragiche conclusioni sulla presunta e sbandierata capacità auto-critica di un’intera generazione e questo ci rattrista più del fatto di aver visto un brutto filmaccio.