55 – Luglio ‘89

luglio , 1989

Massimo Piergrossi affronta con una serie di tavole esposte allo studio S di via della Penna il tema suggestivo del «solstizio d’estate». In realtà le sue tecniche miste e olii su legno e carta si cimentano oltre che con l’astronomia anche con l’astrologia attraverso dodici opere dedicate ai segni dello Zodiaco. Cosicché l’impronta esoterica balza da subito in grande evidenza e viene poi confermata dall’esame attento delle singole opere. La sua non è però la presuntuosa ostentazione del mistero che esclude da ogni partecipazione chi non è iniziato; ma è un invito a percorrere insieme un cammino. Come una guida paziente Massimo Piergrossi accompagna i volenterosi lungo i labirinti di mitrei o catacombe indicando di tanto in tanto forme, segni e colori che affiorano sui muri e che l’artista con la sua tecnica disvelatrice ripropone criticamente.
L’arte che Piergrossi esprime ci ha particolarmente attratti perché è palese quanto siano frivoli ed inessenziali gli sproloqui sui simboli e sugli archetipi di Jung e, peggio che mai, di quegli artisti c1audicanti o critici imbelli oltre che insipienti, i quali ritengono che lo zurighese sia tra gli studiosi della psiche colui che meglio ha saputo cogliere il discorso artistico. Ciò è falso:
Jung ha detto cose fondamentali sull’inconscio e sul significato della terapia, ma di arte ha capito poco o niente; i suoi sono infatti stati balbettamenti tardo liberty pieni di piume e lustrini. I simboli e i richiami arcaicizzanti di Massimo Piergrossi, nella loro tenera e inquietante sensualità inducono ad un voyeurismo discreto ed esplicitamente affermano che il simbolo è il mondo.
Il Sagittario e la Vergine sono i corpi nudi di un maschio e di una femmina che appena si intravedono, confusi col fondo e ricoperti dai simboli, ma la loro presenza è forte e attiva; una presenza vivente come quella dell’acqua ricca di azzurri che sgorga dalla roccia, accanto alla quale trionfa la pienezza colorata dell’orcio di terracotta nell’ Acquario.
Sempre sovrastati dalla curva di un arco che li racchiude nella sua luce appaiono anche i covoni e le spighe di grano a volte colte negli spazi aperti, inteneriti da un brandello colorato di farfalle rimaste sospese nel vuoto lasciato da uno strappo; oppure è il taglio netto del collage che con decisione getta un fascio di ombra a forte contrasto. Talvolta i temi della natura e del simbolo sono riuniti nelle corone di frumento, appese su muri o portali, avvolte in luci ed ombre di colore diverso, dall’ocra all’azzurro, rituali e definitivi col loro richiudersi. nel cerchio. Se tutto questo è un tentativo di leggere quello che noi abbiamo preso come un lungo racconto sul sacro e l’umano, c’è poi la narrazione parallela che Piergrossi conduce attraverso l’uso delle tecniche come linguaggio. Graffire, ritagliare, incollare, staccare sono i modi di riconquistare lo spessore che solo il tempo sa dare, quando incide sull’opera che l’artista gli ha consegnato, conservandone la memoria.