55 – Luglio ‘89

luglio , 1989

Con tutto il male di cui sono capaci i premi letterari, hanno tuttavia il ruolo talvolta di benefattori di qualche musa ingiustamente negletta, come nel caso del premio Montale-Guggenheim di poesia che è servito a farci rileggere un poeta come Luciano Erba, milanese nato nel 1922, docente universitario, esperto di letteratura francese e traduttore. Il libro premiato si intitola L’ippopotamo (Einaudi 1989, pagg.55, Lit.8500) e riunisce una scelta di poesie da raccolte diverse, datate tra il 1960 e il 1987.
La poesia di Erba ha il grande pregio di essere diretta, rifuggente da astrusità ed intellettualismi, si astiene dai filosofemi ed evita fasulli arcaismi. La sua chiarezza talvolta si colora tuttavia a tratti di nere ombre. I versi hanno una piana musicalità che li fa scivolare teneramente sulle labbra che li pronunciano, per poi sparire, dannunzianamente, «chissà dove, chissà dove». Abbiamo usato l’avverbio dannunziano, perché un certo preziosismo è riscontrabile tra queste pagine, ma senza traccia di asfodèli e lorìche. La natura è amata con una devozione appassionata e discreta:
«un novembre di vino e di castagne;/ lontano, nel silenzio della bassa,! un landò nero passa oltre le rogge,! lievi calessi accarezzano le strade/ già indurite dal freddo. (…)»
Alcuni sentimenti sono dichiarati con estrema e commossa intensità:
«Quanto tempo mi resterà ancora per imparare/ a sorridere e amare come te?»
Il volumetto, bianco e nero, è molto piccolo tanto da non pesare, in tasca o in borsa, e può favorire una riflessione durante una pausa anche breve.