54 – Giugno ‘89

giugno , 1989

Tienanmen

E’ assolutamente giusto essere sconvolti per quello che è successo per le strade e le piazze di Pechino: migliaia di giovani vite stroncate sono una realtà che non può in ogni caso essere giustificata.
Legittimo è anche il turbamento di fronte all’ennesima prova di fallimento di un sistema comunista nato da una rivoluzione di popolo. Ci si deve allora rassegnare al fatto che solo la cocacola sia in grado di garantire ai popoli una vita accettabilmente democratica? Il simulacro di gesso innalzato in piazza Tienanmen lo farebbe pensare! Eppure la sensazione più persistente è quella di non riuscire a capire: come se le stesse immagini che hanno reso presente quel dramma, immediatamente ed ovunque, mantenessero l’indecifrabilità degli ideogrammi.

Ci vorrà del tempo per capire davvero quello che abbiamo visto accadere sotto i nostri occhi e solo il cinismo dei professionisti della politica o la presuntuosa superficialità giornalistica possono permettersi di trarre conclusioni utili ad un gioco elettorale o ad un incremento di tirature ed indici di ascolto.

La smentita che la storia ancora una volta impone ad un’ideologia totalitaria non autorizza però nessuno a proporre come modello un’ideologia opposta.

Ci siamo troppo abituati a credere che le ideologie che abbiamo fatto nostre, in questo o quel momento della vita, avrebbero rappresentato la felicità futura di tutti.

Ora, una volta di più, siamo costretti ad ammettere che ingiustizia e repressione vengono imposte ai popoli dal comunismo come dal capitalismo, dall’integralismo religioso e dal cinismo laico.
Oppure abbiamo avuto uno scossone solo perché abbiamo visto «in diretta» le immagini della tragedia?
Un pericolo che ci insidia è infatti quello di reagire solo emotivamente al bombardamento audio-visivo, senza davvero impegnare la nostra capacità di giudizio. Sobbalzando sulle nostre sedie reagiamo allo stesso modo di fronte a qualunque rappresentazione di un evento; ma poi ci rilassiamo, appena le immagini svaniscono e restiamo immutati e appagati nel nostro mondo di «vuoti a perdere».