52 – Aprile ‘89

aprile , 1989

Il ristorante Paris in piazza S. Calisto è abbastanza noto in Trastevere e gode anche di un certo prestigio malgrado il traffico che assedia, d’estate, i tavoli all’aperto e la convenzionalità folcloristica delle due sale sempre troppo affollate. La cucina vi viene fatta all’insegna del «tipico romanesco».
Qualche sera fa, i due Farfalloni, accompagnati da alcuni amici disposti a correre con loro l’avventura di un’uscita «di servizio», hanno lì vissuto una bizzarra e tragica avventura. Gli antichi teorici dei «generi» teatrali affermavano infatti che una caratteristica della tragedia deve essere quella di incominciare bene e finire male, ma male che peggio non si può! Così ci accadde di trovarci nel bel mezzo di una vicenda il cui sviluppo sarebbe stato degno di una tragedia neoclassica. Il prologo della serata fu invero gradevole e leggiadro: alicette piccanti in olio d’oliva, giustamente aggressive e con buon equilibrio tra olio, aceto ed aglio, arzilla bollita di delicata fragranza, bresaola e carne secca morbide e umide, una minestra d’arzilla saporita, profumata, dal ricco brodo e con una buona pasta casalinga; il tutto innaffiato da un’ottima bottiglia di Cervaro, Castello della sala 1985, un bianco di barrique, dal bel colore biondo oro, armonico, muschiato e ben costruito. Ma con l’arrivo in tavola degli agnolotti al ragù, comparvero in cielo le prime nuvole: pasta sottile ma spenta, un sopportabile ripieno, con un ragù però decisamente più lento del consentito; lo stesso potrebbe dirsi dei ravioli al burro e salvia, con la differenza che anziché acquosi risultavano unti di un burro troppo «nocciolato»; peggiori decisamente, in ogni caso, i tagliolini, sia quelli alle vongole, la cui pasta asciutta appariva una massa compatta e pesante, sia quelli alla crema di porcini, nei quali la panna avviliva e disperdeva il ricordo dei funghi; per eccesso di sventura la seconda bottiglia dello stesso Cervaro, per infortuni di cantina, era rovinata da un sentore di madera e da un sapore troppo acido. Tutto precipitava con l’arrivo dei secondi: un disgustoso ed unto fritto vegetale che ad ogni boccone sprizzava schizzi di olio maleodorante, tanto che non si distingueva nemmeno il sapore delle verdure; una piccatina al limone acida e scialba; straccetti alla rughetta che avevano la consistenza di presine cadute per sbaglio nella padella, scaloppine al porto di una caramellosa viscidità e il cui vino non sfumato mal si amalgamava con la fecola addensante; persino la coda alla vaccinara riusciva ad essere un piatto sbiadito. Il rosso Tignanello del 1982 ormai stanco e polveroso serbava solo più poche tracce dell’antico meraviglioso profumo. La mousse al cioccolato, la crème brulée, la ricotta fritta e la zuppa inglese furono i pastrocchi infantili coi quali si compì la tragedia. Fuori scena, ci racconsolò appena un minuscolo bicchierozzo, quasi una lacrima, di splendida Malvasia di Lipari, trionfante nel suo primaverile profumo di rose.
Il servizio fu gentile, pur nella confusione dell’insieme, e il prezzo mantenuto nei limiti di una sostenuta medietà trasteverina.