52 – Aprile ‘89

aprile , 1989

Il concerto di sabato 8 aprile della stagione sinfonica dell’Accademia di S. Cecilia è stato a nostro parere molto ambiguo, crediamo a causa della sovrapposizione di tre interpreti di diversa bravura: l’eccellente Radu Lupu, la brava Victoria Schneider e il pessimo Christian Mandeal.
Certo, al disastro dell’orchestra non sappiamo quanto abbia contribuito la poca cura degli stessi professori.
L’Ouverture da Il Flauto Magico ci ha fatto drizzare i capelli in testa: era andata completamente perduta la magica atmosfera, misteriosa e sacrale che introduce a questa fiaba che è una parafrasi sublime della vicenda umana. All’inizio i timpani sono entrati macroscopicamente in ritardo, poi il fugato degli archi è risultato insopportabilmente sghembo; per tutto il brano, gli ingressi delle varie famiglie e dei singoli strumenti ha sempre lasciato a desiderare. Nel concerto n.1 in do maggiore, per pianoforte e orchestra di L. van Beethoven l’orchestra ha iniziato senza brio; i punti fermi del do, del re e del mi, nel primo tema, sono risultati di inaccettabile mollezza. Le cose sono cambiate, fortunatamente, fin dal primo intervallo di quarta (sol-do) che ha segnato l’ingresso del pianista Radu Lupu, pulito ed incisivo, capace anche di prendere con bel piglio, giustamente variandone i coloriti, le scale di per sé un po’ ripetitive. Il canto del pianoforte nel bellissimo Largo del secondo tempo si è mantenuto equilibratissimo, raffinato e struggente. Lupu ha poi affrontato il Rondò, un po’ ovvio e pacioccone (che abisso da quelli mozartiani!), cercando di ravvivarlo, anche ricorrendo ad una nota di ironica e arguta sufficienza, che non guastava.
Loneliness, per voce e orchestra, di Riccardo Malipiero, su poesie di John Donne, di un Anonimo contemporaneo e di Oscar Wilde, si compone di tre brani ricchi di intense atmosfere e costruiti con sicurissima solidità compositiva: belli gli intrecci tra gli strumenti, intensissimamente emotivi gli a solo; sapiente è l’uso della voce che risulta una presenza continua, ma non straripante. Nel primo brano, abbiamo apprezzato il bell’impasto timbrico tra archi e fiati, il gioco contrappuntistico e la morbida scaltrezza dei frammenti vocali; il secondo si caratterizzava, oltre che per alcuni intervalli vagamente jazzistici, per una serie di begli incontri armonici sui quali si posavano con delicatezza le brevi melodie che la voce quasi centellinava; nell’ultimo, dall’atmosfera misteriosa, la voce equilibrata della cantante illuminava la reiterazione di agglomerati sonori.
L’orchestra ha affrontato i tre brani finalmente con una certa efficacia e il soprano Victoria Schneider è stata quanto mai espressiva e precisa.
Il Don Juan di Richard Strauss, ben noto e sempre efficace, è stato reso con una esecuzione piuttosto anodina e scialba.
I Farfalloni non sono soliti menzionare i bis però, alla fine del primo tempo hanno assistito ad un gioiello interpretativo di così grande valore che desiderano spendervi almeno due parole. Radu Lupu ha suonato il semplicissimo e stupendo Träumerei dalle Kinderszenen di R. Schumann con una perfezione sbalorditiva: dal suo pianoforte uscivano note di dolcezza incomparabile, di una lievità eterea, non sdolcinata mai, che ha fatto trattenere a tutti il respiro.