50 – Febbraio ‘89

febbraio , 1989

Benjamin Britten (1913-1976), è uno tra i più validi e importanti compositori del nostro secolo. Le sue composizioni strumentali vocali e teatrali, rivelano un ec1ettismo così ben armonico che le pur molteplici e riconoscibilissime influenze di altri compositori non gli hanno impedito di formarsi un linguaggio assolutamente personale, riconoscibilissimo. Le sue migliori composizioni non rivelano mai momenti di stanchezza creativa: sono scattanti, sensuali, ironiche e si fondano su di una profonda conoscenza della voce umana, degli strumenti e dei linguaggi compositivi. Possiede pure la dote di una grande intuizione teatrale: da Peter Grimes al Turn of the Screw, le sue opere sono veri spettacoli in cui la musica è straordinariamente unita agli avvenimenti scenici: melodie fluenti, ammiccamenti geniali, stupendo uso della vocalità che si appoggia su di un’ottima orchestrazione; sono cioè presenti tutte le caratteristiche del vero compositore di teatro.
Tutte queste caratteristiche sono ben rilevabili anche nell’operina comica Albert Herring, che la Glyndbourne Touring Opera ha messo in scena al Teatro Olimpico per la stagione dell’Accademia Filarmonica Romana.
Scritta nel 1947 (da Eric Crozier che ha adattato una novella di Maupassant) la storia disegna, in tre atti, un ironico bozzetto di vita della provincia inglese della prima metà del secolo, attraverso la vicenda del giovane Albert, che in mancanza di fanciulle abbastanza virtuose per ottenere la coroncina e il premio in danaro destinati alla «regina di maggio», viene eletto, come unico simbolo di virtù esistente in paese, «re di maggio». Il ragazzo però, anche grazie al coraggio che gli viene da una sbornia di limonata corretta al rum dallo scherzo di un amico, si ribella al ruolo, in cui lo vogliono costringere, di virtuoso un po’ imbecille e fugge di casa e alle sgrinfie della madre oppressiva, per spendere in piaceri in una «public house» i soldi del premio. Tutto finisce bene, col ragazzo che diventa uomo, padrone alfine di se stesso.
I personaggi, musicalmente sono tutti caratterizzati con estrema arguzia e precisione; la piccola compagine orchestrale, con i suoi suoni, è strettamente legata ad ogni nota che viene cantata sulla scena.
I vari strumenti sono sempre nitidamente percepibili in ogni momento espressivo e acquistano a loro volta la caratteristica di personaggi, come se rappresentassero tutto il paese che commenta l’azione principale. Lievi e precisissimi impasti strumentali, un caleidoscopico succedersi delle tonalità, che talvolta abilmente si sovrappongono, rendono la tessitura orchestrale leggibilissima anche per un orecchio distratto. Gustosa la presenza arguta e talvolta ingenuamente malinconica del pianoforte. Le voci continuamente e senza fratture, passano dal canto spiegato al recitativo, a qualche frase di cantato-parlato e a momenti di stupendo concertato. Non si creda che siano presenti però soltanto aspetti variopinti, grotteschi o umoristici; basti notare gli attimi dolci e sentimentali come quelli dell’idillio tra i due innamorati Sid e Nancy, oppure gli accenni quasi tragici del lamento per la presunta morte di Albert.
Tutti gli interpreti sono stati bravissimi:
voci estremamente duttili, ricche di espressività cui si univa una grande capacità recitativa; mai un momento di eccesso nelle pause o di imprecisione nel ritmo.
John Graham-Hall ha magnificamente interpretato il ruolo del protagonista Albert, con una voce dall’estensione non eccessivamente ampia, ma colorita, precisa e adattissima al personaggio. Gerald Finley ha interpretato Sid dandogli una bella voce piena e sensuale. La Nancy di Luise Winter si notava per la voce incisiva e limpida. Molto chiaroscurato, dal tono giustamente grottesco, è sempre stato il canto di Pauline Tinsley nei panni della divertentissima Lady Billows. Bravi anche tutti gli altri: Susan Bickley, Elizabeth Gale, Philip O’Reilly, Alexander Oliver, Richard Van Allan, Menai Davies, Helen Williams, Lynne Davies, Gary King.
Graeme Jenkins è stato splendido: sotto la sua direzione i solisti di «The London Sinfonietta» sono stati precisissimi, senza alcuna rigidità: tutte le note risultavano quanto mai «pulite» e sempre suonate con attento ritmo e calore.
La messinscena di Cristopher Newell risultava quanto mai gradevole, nella sua semplicità.