49 – Gennaio ‘89

gennaio , 1989

I cocktails sono oggi bevande molto alla moda anche in Europa; definire che cosa sia un cocktail è facile e difficile allo stesso tempo: potremmo dire che è il risultato di un miscelamento, a freddo o a caldo, di bevande «spiritose», super-alcolici, vino, birra, con l’aggiunta eventuale di sciroppi, di frutta o di altri ingredienti aromatizzanti. E’ ovvio che non è bene mescolare tutti questi ingredienti in ciascuna bevanda, ma si deve trascegliere. Avremo così short e long drink, aperitivi e digestivi, bibite da mattino o da pomeriggio. I cocktails si possono anche dividere in famiglie; cobblers, collins, daisies, juleps, etc.; oppure hanno nomi precisi che indicano una determinata combinazione di elementi, ufficialmente catalogati da una o più associazioni professionistiche di barmen o anche frutto dell’inventività e fantasia di un singolo barman. Inoltre può essere molto divertente inventarsi le proprie personali misture, a patto di rispettare alcune regole. I Farfalloni, per esempio, non amano molto i cocktails che abbiano più di tre elementi fondamentali, poiché con più elementi è facile combinare pastrocchi, ingenui e spesso imbevibili. Certo: quel che conta è il risultato finale, che non è dato solo dal sapore, ma anche dal colore, morbidezza, forma del bicchiere, decorazione e via dicendo. Per lo più i bar romani, anche i più prestigiosi, quasi mai dispongono di personale in grado di preparare veramente un buon cocktail. Per esempio uno dei più frequentati e rinomati locali del centro dispone di tre o quattro banconisti che alla richiesta di un semplicissimo Adonis, hanno risposto con espressioni di comico, esterrefatto sgomento. La situazione è leggermente migliore nei bar dei grandi alberghi, nei quali si possono trovare professionisti abbastanza seri, anche se dalla memoria un po’ corta: non siamo ancora riusciti in nessun locale di Roma a chiedere il catalogatissimo (anche se riconosciamo un po’ dissueto) Bentley a qualcuno che ce lo abbia sa-puto preparare senza battere ciglio. Al bar dell’albergo Jolly-Leonardo da Vinci, in via dei Gracchi, si alternano tre professionisti preparati che sanno miscelare gran parte dei «classici» con serietà sufficiente. Quelli di invenzione invece badano di più all’aspetto scenografico che al gusto. Così al bancone o seduti in comode poltrone potrete gustare ad ogni ora un Rusty nail o uno Stinger di tutto rispetto, ma se vi porteranno un Ciak, che per ragioni cromatiche ha tutto sul fondo lo sciroppo di menta, resterete con la bocca un po’ impastata per la pesantezza dolciastra di quest’ingrediente trangugiato col sorso finale.
All’albergo Ambasciatori, in via Veneto, il bar è situato tra un grandioso salone con pianoforte e una piccola saletta molto intima: qui fino ad ora tarda si alternano fra gli altri due bravissimi baristi coi quali abbiamo simpatizzato, capaci di preparare ottimamente i tradizionalissimi Martini, Negroni, Bronx, Angel Face, etc., ma anche personalissimi Cocktail di amari o un delizioso e rosato Barbara, creazione personale, originale e delicata caratterizzata dalla presenza dello sciroppo di rosa.

Piperno, in piazza del Monte de’ Cenci, nel cuore del ghetto, è il nome di un ristorante storico per Roma e i romani. Noi lo frequentavamo molti anni orsono; ma cercando di non fare appello ai ricordi vorremmo dire delle nostre ultime visite in questo sobrio santuario della cucina romanesca dall’arredo leggermente più austero del prevedibile, dominato da una patina che sembra dare nobiltà alle cose e persino alle persone.
Qui si possono gustare piatti ineccepibilmente tradizionali, buoni e talvolta addirittura superlativi, elargiti in porzioni degne di una concezione ottocentesca del banchetto non ancora inquinata dall’ansia dietetica dei nostri giorni. Gli antipasti sono principalmente costituiti dai fritti: baccala, fiori di zucca ripieni e verdure di stagione, tutti con la loro appropriata pastella leggera e croccante dentro la quale si nascondono piccoli tesori di tenerezza e di sapore (anche se i carciofi alla giudia riescono qualche volta un po’ troppo umidi). I tagliolini tutt’ova alla marinara sono di pasta fatta in casa e possono anche essere apprezzati senza reticenze nell’eccellente combinazione di pasta e ceci, dove l’equilibrio tra aromatico e piccante è perfetto; per chi ami sapori più semplici c’è un gustoso piatto di gnocchetti alla Piperno col sugo al pomodoro ben tirato che ha il sapore che «gli dà la mamma». Nei secondi piatti trionfano code, trippe e coratelle, piatti non certo leggeri, ma che sono una miniera di sensazioni, per l’uso delle verdure, siano cipolla, sedano o pomodoro, arricchite dalla moltitudine degli «odori», tutti ben percepibili e tutti in armonia tra loro e fatti per esaltare l’ingrediente principale. Anche i dolci sono «della casa» e non tradiscono l’aspettativa: se le palle del nonno possono sembrare troppo pesanti a chi, dopo tanta abbondanza, non riesce più ad apprezzare quegli involtini ripieni di tenera ricotta al cioccolato, c’è la possibilità di assaggiare un’eccellente crostata di visciole (come nessuna mamma oggi la sa più fare) dalla pasta soffice e la marmellata dolcissima, senza punte aspre, e persino, per chi sente il bisogno di digerire tutto e subito, il sorbetto al limone, dal gusto sorprendentemente «morbido».
La carta dei vini è sufficientemente ampia e permette le scelte più meditate, ma per chi vuole restare in ambito laziale ed economico c’è il buon bianco della casa: un Frascati Superiore delle Cantine di Colle Pisano, con le migliori caratteristiche di questo tipico vino fresco e profumato. Il conto non è dei più bassi, ma è in parte scusabile oltre che per l’eccellenza delle materie prime impiegate, anche per la consistente squadra di sala solerte e cortese, che evita inutili attese e distribuisce consigli preziosi, se richiesti.