48 – Dicembre ‘88

dicembre , 1988

Poco lontano dalla zona dei teatri, in Via dell’Archetto, c’è un posto di quelli che sembrano messi lì proprio per lo spuntino a tarda notte, dopo lo spettacolo. Il ristorante-pizzeria L’Archetto è tenuto da persone giovani, allegre e simpatiche e infatti in loro compagnia si sta benissimo fin che si scambiano quattro chiacchere, ma quando arrivano le prime portate incominciano i guai. La lista conta un grandissimo numero di piatti di pasta e di pizze dai nomi davvero fantasiosi che vanno da Attilio Regolo ai corsari, con grande inserimento di panna anche abbinata alle olive o alla vodka. Ma la pasta è sempre poco appetibile, sia essa condita da acquose verdure e insipidi gamberetti o dall’uovo crudo di una inaccettabile carbonara oppure da poche vongole sperdute tra troppi gusci; forse accettabile è solo il sugo ai funghi aglio e pepe degli spaghetti alla corsara. Tra i secondi ricordiamo malvolentieri un orrendo Carpaccio, tagliato male, con una carne insapore; un filetto al pepe verde navigante nella panna di cui era mangiabile solo il pepe; invece non siamo stati in grado, oltre alla panna, di riconoscere gli altri ingredienti di un piatto di impossibili scaloppine al Calvados; persino la comunissima lombata era stata maltrattata da un cuoco improvvisato. Anche la lista dei vini è scoraggiante. Il tutto si conclude con dolci industriali, ma almeno quelli mangiabili, e super-alcolici di ordinaria amministrazione. Il prezzo non sarebbe da considerare elevato, ma ciò non toglie che quello sia un posto in cui non torneremo facilmente. E ci dispiace per quei simpatici giovanotti!

Proprio al numero uno di Via del Portico d’Ottavia, nel cuore dell’antico ghetto, si affaccia L’Uno, un simpatico ristorante kosher che l’estate allestisce i suoi tavoli anche all’aperto, così che ci si sente completamente immersi nell’atmosfera di quello che per noi è tra i più bei quartieri di Roma. Una volta tanto, possiamo parlare positivamente di un ristorante, senza alcuna riserva e, a dispetto della nostra proverbiale perfidia, siamo di ciò molto contenti, anche perché nonostante il nostro perseverare peregrinando eroicamente per tutti i luoghi di ristoro romani, lo abbiamo scelto come punto di riferimento abituale (anche perché è a due passi dalla sede di Psicoanalisi Contro). Il servizio è molto simpatico e quasi affettuoso; i prezzi non sono bassissimi, però le porzioni sono abbondanti, i piatti preparati con ottime materie prime e l’arredamento e l’apparecchiatura sono più che dignitosi ed accoglienti. Descriviamo la nostra ultima cenetta dell’altra sera, quando, un po’ stanchi, siamo approdati al confortevole sito. Subito ci siamo rallegrati per gli ottimi carciofi alla giudia, croccanti e non unti, dissetandoci con il discreto bianco di Pitigliano, vinificato secondo le regole dell’ortodossia in cantina. Ha aumentato la nostra soddisfazione la pasta e ceci, profumata di rosmarino e dal brodo piccantino e ben legato; la consistenza della pasta era eccezionale anche nelle fettuccine ai carciofi, dove l’interdizione abituale del latte dimostrava in modo lampante come si possa fare benissimo a meno della panna in un sugo di morbida e semplice raffinatezza. Gli straccetti al rosmarino erano ineccepibili, con la carne che si scioglieva in bocca, ancora ricca di tutto il suo sapore; anche il baccalà in guazzetto risultava morbido e giustamente dolce; delicatissimo inoltre abbiamo trovato un assaggio di pollo ripieno con i pistacchi.
Piccoli gioielli i contorni: cicoria con bottarga, pinoli e uva passa, cipolle e melanzane fritte con una pastella giustamente leggera. Anche il tipo rosso dello stesso vino kosher ci è parso accettabile, sebbene quello della cantina resti un problema, non sappiamo quanto risolvibile all’interno dell’osservanza stretta di cui il locale fa giustamente un punto di rigore. Tra i dessert noi abbiamo, come sempre, prediletto il cremolato di frutta, questa volta di pere, giusto coronamento di un pranzetto ineccepibile. Un discorso a parte ci sarebbe ancora da fare su certi dolcetti ebraici che, ogni tanto, amiamo assaggiare. Tutti conoscono la pasticceria del Portico che sta proprio alla porta accanto a quella del ristorante, dove si fanno dolcetti della tradizione ebraica che sarebbero, in linea di principio, abbastanza buoni, ma che, non siamo mai riusciti a capire per quale misteriosa ragione, un pasticcere bizzarro tiene nel forno tanto più a lungo del necessario che risultano immancabilmente un po’ bruciati, quando addirittura non sono semicarbonizzati. Il gestore dell’Uno riesce talvolta, a prezzo di chissà quali sforzi, a sottrarne qualcuno al rogo. Ma non sempre.