39 – Gennaio ‘88

gennaio , 1988

«Sessantotto»

In apertura d’anno si prospetta l’eventualità di celebrare ancora una volta uno storico anniversario, e bisogna dire che ormai questi anniversari e l’esigenza celebrativa paiono scaturire solo più dal semplice gioco della rima: che questa volta finisce in «otto». Però sarebbe bene non confondere la memoria storica con l’abituale ciclo dei ricorsi ventennali cui ci ha costretti negli ultimi tempi il ritmo della moda.

Le passerelle degli stilisti e le pagine dei rotocalchi si impongono e ci impongono di tornare a riflettere sul «come eravamo» più meno ogni vent’anni e ciò ha una sua giustificazione nel bisogno di indurre il consumo e nella contemporanea incapacità di creare il nuovo.

Così il revival viene a risolvere un problema economico complesso che non si limita al frivolo concetto del consumismo ad ogni costo, ma che tocca anche esigenze di produzione e di lavoro.

Meno legittimo sarebbe applicare lo stesso meccanismo quest’anno, poiché, a parte l’assonanza, sarebbe arbitrario fare riferimenti storici e riflessioni su di un’ epoca che non è ben chiaro quando sia iniziata e se sia più o meno finita.

Tutto è così aperto e soprattutto sono aperte le ferite e chi troppo soffre difficilmente è così lucido da saper emettere diagnosi.

Riparare nella stupidità è stato un modo, per tutti, di anestetizzarsi, ma non si può pretendere di uscire dall’anestesia e scrivere di getto la storia perché così vuole la moda: ciò proverebbe solo che stiamo ancora dormendo.

Il prossimo anno la rima sarà in «nove» e dopo centonovantanove anni ci accorgiamo con sgomento di essere ancora perplessi sul giudizio da dare sulla rivoluzione francese.

È poi grottesco pensare che il professor Ernst Nolte, della libera università di Berlino, giocando sull’umano presbitismo può permettersi di ammonirci che «Se Hitler avesse vinto, nell’Europa germanizzata e in buona parte del resto del mondo la storiografia si dedicherebbe a celebrare le gesta del Fúhrer».

Siamo davvero troppo presbiti per leggere nel nostro tempo o siamo troppo miopi per guardarci in faccia? Ad ogni modo perché riaprire i vecchi armadi ogni vent’anni? Si rischia di trovarci solo vestiti smessi.