Psicoanalisi contro n. 39 – Il grido di Don Giovanni

gennaio , 1988

Come ho già detto, la lingua italiana usa il termine coerenza sia per indicare l’armonico sviluppo di una struttura, non solo di pensiero, sia in senso morale, per designare la fedeltà a determinati valori. Essere coerenti con i propri princìpi vuol dire vivere secondo regole che dipendono da convinzioni profonde, non importa se più o meno liberamente accettate, costituiscono comunque il fondamento dell’agire nel mondo. Coerenza questa che, talvolta si paga a caro prezzo. In questa seconda accezione la coerenza riguarderebbe quindi soltanto princìpi morali e non dovrebbe riferirsi ai princìpi della ricerca scientifica e artistica.

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Nella storia della letteratura italiana trova posto anche un povero poeta, bistrattato, vilipeso da tutti i cattedratici-burocrati della cultura, che da lui prendono spunto per tuonare contro i cosiddetti «voltagabbana»: quel Vincenzo Monti presentato come l’antitesi e il negativo dell’altro Grande Poeta, simbolo della fermezza coerente ed intransigente, sconfitto e stanco per lo «scendere e’l salir per l’altrui scale», ma comunque ostinato in una coerenza eroica e titanica. Non mi è chiaro perché gli storici abbiano voluto assegnare proprio al Monti l’ingrato onere di essere simbolo dell’incoerenza morale, quando ci sono stati in ogni campo artisti, letterati, scienziati e politici che hanno cambiato con leggerezza opinioni, partiti, fede e ideali. Forse la spiegazione si può trovare nel desiderio dì vendetta contro quel suo far versi così sovraccarichi e magniloquenti, ostici e difficili al confronto della facilità romantica, semplice e un po’ bacchettona, ben accetta ai moralistici tartufi d’oggi e di ieri.
Monti, di fatto, fu molto coerente nell’arte sua, almeno quanto fu pronto a cambiar padrone e credo politico; allora il problema è caso mai di capire se i principi estetici e poetici da lui sostenuti fossero o meno compatibili col suo comportamento umano e civico. Ha però senso distinguere tra l’artista e l’uomo? Tra la persona e il suo agire? 0 piuttosto non è vero che ciascuno ha il dovere di essere coerente sempre e in tutti i multiformi aspetti del proprio vivere? Chi teorizza il bello deve per forza essere bello? In tal caso avrebbe torto Schopenhauer, quando sostiene che lo scultore non è tenuto ad essere egli stesso un bell’uomo, anche se il suo ideale è la bella scultura. Leocares aveva il dovere di essere bello come l’Apollo del Belvedere? Forse la coerenza di un artista non sta necessariamente nell’adeguarsi ai prodotti della propria arte e giustamente Antonio Canova non ha speso la propria vita, atteggiandosi in plastiche pose classicheggianti, sempre nudo fino all’ombelico! Così Johann Strauss non si sarà sempre spostato muovendosi a ritmo di valzer! La coerenza al proprio credo artistico è ben altro; non è solo l’unitarietà dello stile delle opere, che tutt’al più è utile a conoscerle, ma è una adesione morale ad un mondo che l’artista indica e restituisce agli altri. Le proprie opere esprimono sempre anche i contenuti filosofici del pensiero dell’artista. Ancora Schopenhauer diceva che il filosofo non era minimamente tenuto a porre in pratica le verità filosofiche che veniva scoprendo:
«Che il santo sia un filosofo è tanto poco necessario, quanto poco necessario che il filosofo sia un santo: come necessario che un uomo bellissimo sia un grande scultore o che un grande scultore sia pure un bell’uomo. Sarebbe d’altronde singolare pretendere da un moralista che non debba raccomandare se non le virtù da lui stesso possedute. Rispecchiare astrattamente, universalmente, limpidamente, in concetti l’intera essenza del mondo, e così, quale immagine riflessa deporla nei permanenti e sempre disposti concetti della ragione: questo e non altro è filosofia.» (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, I, § 68).
Se l’artista esprime in qualche modo il proprio pensiero, l’arte è simile alla filosofia e come tale tende ad una verità che riguarda l’uomo e il mondo. L’arte sarebbe allora solo involucro, o modo di dare forma ad una verità, ma questo è allo stesso tempo troppo e troppo poco, per l’arte e per l’artista.

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Ma questo riguarda soltanto il filosofo e l’artista o anche lo scienziato? La verità della filosofia è la stessa verità della scienza? Lo scienziato può illudersi di godere maggiore tranquillità, può credere di non doversi necessariamente porre il problema di essere filosofo e ritenersi dispensato da ogni riflessione sull’eventuale propria natura di artista. Egli dice a se stesso di essere colui che osserva, indaga ed esperimenta, che il suo punto di partenza è un’ipotesi di lavoro che egli va verificando con calcoli statistici che sono desunti dalla sperimentazione. È inutile che io ripeta qui che la ricerca scientifica non porta mai alla risoluzione di un problema, ma piuttosto all’impostazione, magari in modo ottimale, di nuovi problemi. Problemi ben inteso che intervengono sul reale, e come tali anch’essi entrano in rapporto con una «verità». Ma quale verità? La verità dell’uomo e del mondo. Però a questo punto bisogna che lo scienziato sia consapevole che ha mosso il suo primo passo partendo da una propria personale convinzione, forse inconsapevole o addirittura impostagli dall’esterno e che quindi la sua ipotesi di lavoro è una elaborazione fantastica, anche se espressa attraverso il più rigorosamente matematico dei procedimenti. Quale verità si può pretendere allora di trovare? Solo una verità frutto di una fantasia. Esiste, certo, anche la verità della fantasia, che perde ogni validità però se pretende di sovrapporsi al mondo dell’altro. A questo punto, lo scienziato trova rifugio nel criterio dell’utilità della propria ricerca; ma utile a chi? Allo scienziato, per ottenere fama e denaro, oltre che potere? Oppure utile a migliorare la qualità della vita degli altri? In base a quali criteri, se i risultati ottenuti non hanno nulla a che vedere coi valori di una presunta verità? Per giovare al mondo, lo scienziato deve credere che il suo intervento sulla realtà sia una interpretazione del mondo e questa interpretazione egli deve credere che sia quella la vera, se pure solo in senso relativo, comunque più vera di altre. Dove dovrebbe stare allora la coerenza dello scienziato? Spesso egli è strumento di ragioni politiche ed economiche, manovrato da forze che neppure riesce a percepire e di cui rischia di essere l’inconsapevole agente. È allora necessario che egli fondi anche la propria scienza e la propria metodologia su princìpi filosofici ed esistenziali.

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Ho parlato spesso di quel particolare tipo di scienziato che è lo psicoterapeuta ed ho anche ribadito come ogni psicoterapeuta che non voglia essere un brigante debba fondare il suo operato su di una teoria metapsicologica sufficientemente chiara ed organica anche nella scelta dei propri strumenti di intervento. In questo senso lo psicoterapeuta deve essere coerente coi principi ai quali si riferisce. È però, secondo me necessario al terapeuta anche un altro tipo di coerenza: egli deve cioè essere sufficientemente sano da far aderire la propria esistenza agli stessi princìpi su cui basa il proprio concetto di salute, quando interviene clinicamente. Se non è capace di questa minima coerenza, significa che egli stesso è troppo malato per curare gli altri.

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Forse tutti gli esseri umani che si propongono di intervenire nel mondo dovrebbero essere almeno un poco sani, perché senza un minimo di salute non si ha il diritto di inter-agire con gli altri e meglio sarebbe rinunciarvi, ritirandosi magari in solitudine a contemplare le stelle. Non c’è però solitudine che dispensi l’uomo dal dovere di basare il proprio mestiere di vivere su alcuni, sia pur pochissimi, princìpi. Sono passato dal tentativo di definire che cosa si debba intendere per coerenza morale all’affermazione che si deve in qualche modo essere coerenti; sono giunto cioè ad un’affermazione che si basa sul mio senso morale, che pretende la coerenza ad alcuni principi che sento prossimi a quella verità (sia pur povera e nuda) che va postulando la filosofia. Con questa affermazione sembra che io dia il primato assoluto alla ricerca filosofica, ma così non è. Io voglio distinguere le filosofie dei filosofi «per professione» dal filosofare quotidiano di ognuno. Le prime, come ho più volte fatto notare, sono sistemi più o meno organici, simili a quelli teologici, artistici e scientifici, però di essi assai più labili. La filosofia è sempre stata un sistema debole di pensiero, priva di una reale identità, reperibile frammentariamente nelle altre attività di ricerca. Povera e nuda quindi perché partecipa così poco dell’essere che quasi non è, e tantomeno può vantare supremazie di sorta. Il filosofare quotidiano invece dovrebbe permeare la vita e le fantasticherie di tutti, tanto da divenire fondamento, indistinguibile dalla fede religiosa e dall’impegno politico. Questa filosofia non è superiore o inferiore a nient’altro, va ricercata, snidata e poi confusa con l’esistenza, privandola di ogni presunta autonomia. Il fondamento di ogni cosa sta nel mistero e il mistero sta nel fondamento. Dalle riflessioni sull’essere sono giunto a considerazioni sul dover essere. Il dover essere è pieno di confusione: è un imperativo per nulla categorico; ecco perché, in genere gli uomini non sanno scegliere se essere fedeli o infedeli. Tutt’al più sanno che si deve mangiare per vivere, lavorare per mangiare, respirare per non soffocare, defecare per liberarsi dalle scorie. Qualcuno anche ricorda che, una volta ha parlato d’amore ad un altro o ad un’altra, che ha preso a calci, senza ragione, un cane randagio, che ha creduto profondamente in Dio. Sono però ricordi lontani, mentre il vivere quotidiano consiste di gesti stereotipi, inconsapevoli, aridi, anche se resta sempre la speranza che ritorni un desiderio d’amore, una nostalgia. Apparentemente sembra che in tutto questo la coerenza non debba aver nulla a che vedere, che non ci sia problema di fedeltà o infedeltà ai princìpi o ai valori, ma non è così. La musica del Don Giovanni mozartiano è in sé coerente ed è coerente con la disperazione del personaggio: un fluire ininterrotto di note che si coagulano intorno ad una sola… in cui esplode il grido finale!