38 – Dicembre ‘87

dicembre , 1987

Checchino dal 1887 in via Monte Testaccio 30, all’ex «mattatoio» è uno dei «santuari» della ristorazione romana e romanesca.
Un tempo qui vicino si macellavano le carni e per anni sono arrivati sui tavoli di questa cucina i più succulenti «quinti quarti» reperibili in città: code, interiora e frattaglie, elementi base di una saporitissima cucina popolare. Abbiamo voluto ristorarci prima che si concludessero le celebrazioni del «centenario» della casa, curiosi anche di constatare cosa eventualmente fosse cambiato. Se qualcosa è cambiato non è cambiato in meglio: col passare degli anni noi abbiamo registrato una lenta e progressiva decadenza della cucina, con la definitiva scomparsa di ogni sapidità, cosa che è la morte della tradizione romanesca, come di ogni tradizione. Abbiamo trovato accettabile un solo piatto: la testina di vitello, dolce profumata e croccante al punto giusto. Tutto il resto affondava nella nebbia dell’indistinto. Uno dei due Farfalloni ha scelto il «menù dei cent’anni», l’altro, insieme con il solito gruppetto di amici, ha scelto piatti della carta. A parte la sunnominata testina, abbiamo avuto per antipasto una insalata di zampi tiepidiccia e insapore, oltre che priva di sale, dei crostini misti al paté, alle olive e al carciofo: tre fette spesse di pane stantio, appena inumidite dalle tre acquose salsine. I primi piatti sono stati: una zuppa di fagioli sciatta, con un fondo amarognolo e slegata; rigatoni alla pagliata dolciastri; tonnarelli al sugo di coda rinsecchiti; tonnarelli ai porcini troppo asciutti tanto che il sugo non legava con la pasta; bucatini alla gricia ai quali il disarmonico condimento di guanciale e pecorino dava una sensazione di rancido. I secondi hanno mantenuto tristemente il livello di quanto li aveva preceduti: cervella e schienali al burro e salvia collosi e insapori; l’arrosto misto incartapecorito; la trippa alla romana fredda e con troppa mentuccia; l’abbacchio alla cacciatora era morbido ma troppo piccante (qualunque vivanda eccessivamente piccante perde ogni altro sapore); la coda alla vaccinara e le puntarelle erano invece mangiabili. Il pasto si è concluso col pecorino romano, la gorgonzola col miele e i gelati della Ninetta: il primo anodino tanto da non permettere la congruenza dell’abbinamento col buon marsala Vecchio Samperi, la seconda non era per niente cremosa ed era unita a un miele piatto e ad un mediocre marsala; le palline di gelato erano fin troppo casarecce. Un discorso va fatto sui vini, obbligati per chi sceglie il menù: un Crémant di Cramant Mumm che ci ha veramente sorpresi per l’assoluta assenza di profumo che, come tutti sanno, è una delle sue caratteristiche fondamentali (forse perché la bottiglia era aperta da troppo tempo?); il Marino Colle Picchioni dell’85 era dignitoso, sebbene ricordasse appena il profumo delle bacche e il sapore salmastro; non ci è piaciuto per niente il Chianti Rufina riserva dell’8l, solo vinoso. Il prezzo è risultato complessivamente abbastanza alto anche considerando che i bicchieri di vino previsti dal menù sono stati attinti alle bottiglie degli altri commensali (per distrazione).