37 – Novembre ‘87

novembre , 1987

Antonio Salieri fu un compositore molto noto ai suoi contemporanei; nacque a Legnago in provincia di Verona nel 1750 e morì a Vienna nel 1825. Compositore di corte e maestro di cappella dell’imperatore asburgico, ebbe una vita artistica e organizzativa molto vivace; inaugurò il Teatro alla Scala con la sua opera «Europa riconosciuta» nel 1778 e fu tra i fondatori del Conservatorio musicale di Vienna. Si dedicò con molta cura all’insegnamento ed ebbe tra i suoi allievi Beethoven e Schubert. Le sue composizioni teatrali, religiose e strumentali molto note ai suoi tempi caddero poi nell’oblio. Noi abbiamo ascoltato qualcosa e letto poco di più delle sue composizioni, restando a dire il vero completamente indifferenti: un po’ di Gluck affiorante qua e là, ma per il resto nulla ci parve mai essere particolarmente apprezzabile. La potenza dei mass-media ha fatto parlare e straparlare di questo opaco compositore di tanti anni fa, dopo il film di Milos Forman «Amadeus» che lo vede terribile e spietato assassino di Mozart. Al teatro Olimpico, L’Accademia Filarmonica ha realizzato per il ciclo «Vienna: capitale della musica italiana» una rappresentazione de La Grotta di Trofonio opera comica in due atti, su libretto di G. B. Casti, con la regia di Sandro Sequi.
La trama consiste in un piccolo gioco meccanico basato sulle arti magiche di Trofonio capaci di far cambiare carattere e umore ai personaggi. Così le due figlie di Aristone la compassata Ofelia e la leggera Dori, fidanzate l’una al saggio Artemidoro e l’altra al libertino Plistene, si trovano mutate d’animo ed insofferenti dei loro spasimanti: questo nel primo atto. Nel secondo atto, mentre le fanciulle sono tornate al primitivo umore i fidanzati hanno subìto lo stesso mutamento per cui ancora le coppie risultano scombinate. Ci vorrà l’intervento diretto di Trofonio per spiegare ogni cosa e far tornare tutto al suo posto. La musica che riveste questo misero libretto è ancora più miserevole; per Antonio Salieri non c’è proprio salvezza; non è un compositore mediocre: è un pessimo e volgare, oltre che monotonissimo, musicante.

Le sue sono melodiuzze prive di respiro: la tonica e la dominante regnano incontrastate e qua e là affiorano banalissime modulazioni; l’orchestrazione è quanto di più stantìo e convenzionale si possa immaginare; indubbiamente l’armonizzazione è corretta, anzi è persino troppo corretta. Questa è musica che al massimo potrebbe sostenere uno spettacolo per burattini. Salieri si rivela completamente privo di sapienza teatrale: tutto è statico e le note non permettono di costruire nessuna atmosfera scenicamente valida. L’orchestra dell’Amit è stata diretta da Franco Petracchi in modo rigido e inespressivo, senza alcun tentativo di colorire o ravvivare una partitura così spenta. I cantanti han fatto del loro meglio: Angelo Nardinocchi nelle vesti del vecchio padre e Martin Egel in quelle di Trofonio hanno cercato di fare il possibile per dare una esecuzione pulita e sensata; più opachi benché nei limiti di una accettabile correttezza i quattro giovani: Daniela Mazzucato, Elisabeth Norberg-Schulz, Mario Bolognesi e Lucio Gallo. Il coro maschile era diretto da Pablo Colino e al cembalo siedeva Alessandro De Marchi. Le scene preziose e i costumi divertenti erano di Giuseppe Crisolini Malatesta.