37 – Novembre ‘87

ottobre , 1987

Il grido di dolore

Dispiace dover ritornare su argomenti persin troppo trattati, ma è dovere morale difendere le cause della ragione, quando in essa si crede. Nessuno merita che gli vengano riconosciuti attributi di preveggenza se ha per caso previsto il pastrocchio non accidentale che si è venuto a creare nell’incontro tra il «piccolo idiota televisivo» e la grande idiozia politica: i mezzi di comunicazione di massa perpetuano se stessi proprio perpetuando l’idiozia di tutti. Se mai, sarebbe il caso di fare una pausa di riflessione davanti alla sensazione che si può provare di sentirsi tra i pochissimi furbi e cercare di andare a scoprire quale vantaggio può trarre dalla nostra autoconvinzione il persuasore occulto che ci sta alle spalle. Proprio per lo specifico di cui questo mensile tratta è però impossibile trattenere il «grido di dolore» quando l’idiozia televisiva si accoppia con l’idiozia culturale e con quella psicoanalitica in special modo. Nell’aberrante e dilagante elargizione dell’uso del telefono (si va in noi confermando l’agghiacciante sensazione che il telefono venga sempre più usato vilmente come moderno sostituto delle vecchie lettere anonime) e nell’abuso del processo a chicchessia assassino o giocatore di tennis da tavolo ci è capitato di assistere ad un’atroce parodia di un procedimento giuridico che ha avuto luogo in uno studio televisivo contro il dottor Armando Verdiglione, che già poco men che grotteschi procedimenti giudiziari ha subìto con ignominia sua e dei suoi giudici. Ancora una volta l’indignazione dell’audience si è abbondantemente pasciuta delle insinuazioni sulla gravità morale dell’ipotetico reato (morale e non penale) di plagio. Contemporaneamente, un rispettabilissimo stregone-esorcista si esibiva a dimostrare quanto vitale sia ancor oggi la stregoneria: cosicché anche al più tonto il passaggio da «Maestro» a «stregone» non è risultato troppo òstico. Tanto che non è stato più possibile indignarsi per l’ostentata inconcludenza dello psicoanalista/guitto, per la volgarità delle sue argomentazioni, per l’insulto alla cultura e alla scienza che egli come persona e la sua fondazione come istituzione rappresentano, per la vergognosa commistione che allora seppe fare e ancora oggi tenta ottusamente di riproporre tra valori e personali cupidigie, per le stesse plateali menzogne, per l’analfabetismo riproposto come insegnamento. Forse non è vero che i mezzi di comunicazione di massa siano così onnipotenti e forse la squallida realtà che fanno emergere non ha ancora isterilito completamente i germi della coscienza popolare. Può darsi che il buon senso comune sia più acuto di noi e che partecipi al gioco nel solo modo possibile, cioè prendendo in giro il gioco e se stessi; ma il dubbio rimane che tanto fango tirato in superficie finisca per sporcare tutti. Se il plagio fosse una colpa morale, sarebbe più colpevole chi ne plagia di più o chi ne plagia di meno? Se il plagio è meritoria opera di proselitismo di chiese e partiti perché diventa vizio nei singoli individui? Sandro Gindro dice che l’amore è sempre un plagio; i meno furbi sono propensi a credere che il plagio sia sempre amore. Forse per questo la televisione propaganda di sé un’immagine di materna telefonista: chi ci può amare più della mamma?