36 – Ottobre ‘87

ottobre , 1987

Negli ambienti della ex fabbrica di birra Peroni, in via Reggio Emilia 54, recuperati dal Comune come spazio espositivo, dal 6 ottobre all’8 novembre sono esposte le opere del Premio Michetti 1987: Nuovi territori dell’arte e del Premio Speciale Michetti, assegnato a Mario Schifano. Entrambe le sezioni del premio e della mostra sono curate da A.B. Oliva.
Dopo la transavanguardia si è inteso mettere a confronto le recentissime produzioni di giovani artisti europei e americani per valutarne possibili differenze ed eventuali comuni punti di partenza o di arrivo. Il nume ispiratore, sia dei dodici artisti americani, sia degli altrettanti europei, ci pare essere proprio Marcel Duchamp: partendo da quella facile comprensibilità gli artisti oggi qui esposti sono giunti a un punto di iper-comprensibilità tale, eccessiva e desolante, da essersi definitivamente allontanati dai campi di ogni arte possibile. L’arte senza misteri ed allusioni, totalmente comprensibile, non è infatti arte. Purtroppo in queste opere è tutto chiaro; non diciamo che sia anche brutto, poiché il brutto può avere’ una sua dialettica valenza di nobiltà che è totalmente assente in queste opere «ignobili», frutto del disimpegno e del più vacuo narcisismo. Quello che si vede è quello che è. Non ci sono mondi in cui immergersi per salvarsi o anche perdersi, non inquietudini, non provocatorie prese di posizione o gesti rivoluzionari, ma una piatta acquiescenza all’ovvietà e ripetizione di moduli ormai sessuagenari. Gli europei sono: Per Barclay, Doris Bloom, Christopher Boutin, Manlio Caropreso, Carlo Ciarli, Hughie o’Donoghue, Jochen Fischer, Paola Fonticoli, De Luyck Philippe, Guido Schlinkert, Giandomenico Sozzi, Alessandro Twombly. Gli americani sono: Vikky Alexander, Tamas Banovich, Beth Brenner, David Cabrera, Tim Ebner, Steven Harvey, Mitchell Kane, Andy Moses, Harvey Tulcensky, Wallace and Donohue, James Welling, Christopher Wool. Di qua e di là dell’ Atlantico tutti imbrattano, inchiodano, incollano, intarsiano, applicano, colorano, illuminano, compongono con la stessa imperterrita adesione alla frivolezza.
Riconosciamo invece a Mario Schifano di produrre opere che sono almeno brutte, ma non solo: la sua ambiguità pittorica lo rende spesso ironico. Certo, quando il gioco è così spudoratamente scoperto rischia di non divertire più. Comunque, un pizzico di arguzia si può ritrovare qua e là: pensiamo al Quadro severo con trenino allegro del 1987 o a Enorme ostacolo «Sussulto Secondo» o al Paesaggio con Carbone sempre di quest’anno, dove il gioco dei colori e delle forme si traduce in complici ammiccamenti a chi osserva, in vivaci sprazzi di colore accattivanti.