36 – Ottobre ‘87

ottobre , 1987

Richetto: Il grappolo d’oro è un enorme ristorante che si trova al numero 35 di via Tor di Quinto, proprio al mercato di Ponte Milvio. Questa sua collocazione fa sì che si rivolga ad una clientela vasta e composita: le famiglie del quartiere e quelle più grasse e borghesi delle vicine zone residenziali e le folle di frequentatori e frequentatrici notturni della zona alberata adiacente. Gente eterogenea che ha, però, in comune il fatto di apprezzare alquanto la pessima cucina del locale. Dopo che ci siamo auto-serviti di accettabili antipasti di verdure, ci sono giunti in tavola, portati dalle cucine a ritmo frenetico, spezzato però da lunghissime ed inspiegabili pause, alcuni piatti da far rizzare i capelli in testa: un cartoccio di pasta scotta con frutti di mare indecenti e gommosi; tonnarelli con i carciofi, sommersi di panna; fettuccine ai funghi degne di un pastone per le galline. Ai primi piatti sono seguite pietanze non certo migliori: spiedini di pollo e manzo le cui carni bruciate non permettevano di distinguere l’uno dall’altro; gli straccetti erano veri brandelli di carne stopposa, bagnati da una salsa amara e piccante. Abbiamo anche tentato un piatto di pesce, ma le mazzancolle sembravano di cartone e plastica. Il tiramisù ci ha buttati giù come pure gli altri dolci (a onor del vero abbiamo ricevuto le scuse per la pasta cruda della torta di frutta). Non ci è stato possibile scegliere i vini perché o non c’erano del tutto quelli della lista che chiedevamo o finivano dopo la prima bottiglia; erano però scadenti, maltenuti e peggio serviti. Tutto sommato la cosa meno sgradevole è stata il conto, davvero molto contenuto.

Forse è vero che i due FarfalIoni sono cattivi, però, spesso anche quando ce la mettono tutta per cercare di parlar bene, un destino avverso li costringe a denunciare l’amara verità. Noi conosciamo e stimiamo Sandy Chung, ottimo cuoco e maestro della cucina cinese, perciò, qualche sera fa, ci siamo detti: «Perché non andiamo al suo ristorante, dove certamente mangeremo bene, e così potremo scrivere un bel pezzo?». Invece al Ki Lin, questo bel ristorante rosso ed accogliente di via Carlo Cattaneo 13, c’è qualcosa che non va. La carta sembra raccomandabile, poiché, mescolate agli ultra soliti piatti di tutti i ristoranti cinesi d’Europa, ci sono alcune proposte meno consuete, ma oltre la carta non si va. Innanzitutto i fritti arrivano in tavola tutti immancabilmente bruciati: siano i toast di gamberetti o i ravioli wun tun, la pizza cinese o l’anatra croccante. A parte le alghe fritte, zuccherate, ciò che non è bruciato ha un disgustoso sapore di fumo e di rancido. Veramente sgradevole la pasta mista, appena sopportabili il pesce in salsa cinese e la carne mista con riso cuo ba, due piatti insipidi e acquosi. La zuppa di mais è un intingolo di fecola e quella agro piccante è viscida oltre ogni sopportabilità. La frutta caramellata è immersa in un olio indecentemente impregnato di pesce e maiale. Ovviamente i vini sono, come in tutti i locali cinesi di Roma, orribili bianchi. Buona è invece la grappa di rose! Il prezzo da Sandy è sempre contenuto.