35 – Agosto ‘87

agosto , 1987

RISTORARSI A SPOLETO

Sabatini

I due Farfalloni l’altra sera sono usciti molto delusi ed anche un po’ irritati dal ristorante Sabatini di Corso Mazzini.
Abbiamo seguito negli anni il lento decadere di questa cucina ed in quest’ultima visita abbiamo registrato il suo crollo definitivo. Quasi tutti i piatti, tanto i primi quanto i secondi, erano totalmente insapori e coperti da un denso liquame dolciastro a base di panna, sempre totalmente slegato dagli altri ingredienti. Ci siamo rattristati in modo particolare perché questo è uno dei posti più accoglienti e di buon gusto in Spoleto. È cortese e sollecito il servizio, sono belli gli ambienti e ben curati l’arredo e il vasellame; inoltre tanta signorilità di tratto è unita all’indiscutibile pregio di costi più che bassi, diremmo addirittura che mangiare qui costa poco.
Non c’è però discorso economico che tenga di fronte a piatti come le tagliatelle dello chef: un molliccio impasto di panna e verdure che si univa malamente a scialbe tagliatelle senza vigore; né erano migliori le tagliatelle al serpillo nelle quali l’originale e vivace profumo di quest’erba era completamente spento dalla stucchevole cremosità di una orribile salsetta rosata; noi ricordavamo con piacere gli squisiti strangozzi alla spoletina, ma questa volta, se pure abbiano rappresentato l’unico piatto dignitoso della serata, avevano perso molto dell’antico splendore.
Non cattivi abbiamo trovato i due piatti di pesce: una trota carnosa e un sapido, forse un po’ troppo salato, baccalà profumato e croccante; invece il tacchino con la salsa alle ortiche perdeva, a causa della panna e delle sottilette, tutto il potenziale che alla ricetta sarebbe venuto dall’uso di questa rustica pianta; il capriolo ci ha fatto letteralmente rizzare i capelli in testa: il povero animale sembrava essere stato surgelato nel medioevo e, malamente liberato dal ghiaccio, si presentava come un mucchietto di plastificati cubetti che nessuno aveva avuto il buon senso di mettere in una qualsivoglia marinata e che di certo non erano in grado di assorbire sapore da quella salsetta lenta e lattiginosa.
Più folli che mai i due dolci della casa, una melensa accozzaglia di frutta e uno svanito, ancora una volta pannoso, dolce dello chef.
La lista dei vini è sempre ben curata: sono infatti presenti alcuni tra i migliori produttori non solo umbri. Il bianco della casa era debole e allora abbiamo provato un Bianco d’Arquata ottimo, con un buon profumo di malvasia; un Rosato di Assisi, meno interessante però simpatico;
un Rosso di Assisi molle e’ piatto.
A giudicare dall’affollamento, il cuoco ha certo scelto la strada della popolarità, ma non quella del coraggio e dell’arte di cucina.

Trattoria del Festiva!

A Spoleto succedono cose pazze soprattutto durante il Festival. Volete mangiare un’ottima frittata al tartufo? Andate alla Trattoria del Festival di via Brignone 8, ma guardatevi bene dal mangiare o bere lì qualunque altra cosa. Gli antipasti misti sembravano fatti da un bambino, triangolini di pan cassetta raffermo, prosciutto secco e melone, fette di lonzino e le bruschette senza infamia e senza lode. I piatti di pasta erano terrificanti tortellini del peggior «sotto vuoto spinto», e non c’era differenza tra il sugo «alla bolognese» e quello al pomodoro, entrambi pessimi; gli strangozzi al tartufo e funghi suscitavano ilarità e sembrano riunire nel sugo tutti gli avanzi di cucina, immersi in un mare di untuosità, era assente solo la panna; che invece abbondava negli agnolotti al formaggio ed erbe fini, dal terroso ripieno. In questo ristorante sono molto previdenti, sembra infatti che incomincino a mettere le carni sulla brace fin dal mese di aprile, per poi servirle riscaldate ai turisti dei due mondi in giugno e luglio. Coi vini è stata una girandola da capogiro: prima un Panello di Caprai, così frizzante da far concorrenza alla coca cola, senza profumi o sapori, poi un Trebbiano dell’Umbria, presentato come vino della casa, squilibrato ed acido, e un imbevibile Merlot di Spello. Riconosciamo che il conto non è stato alto, ma, con la frittata, la più grande consolazione è venuta dalla gentile signorina che con garbo e simpatia ci ha assistiti.

Pic Nic

Già l’ubicazione della Trattoria Pizzeria Pic Nic, non è delle più felici, ai bordi della Flaminia, nel traffico e nella polvere. Per di più il servizio è distrattissimo ed i prezzi non sono neppure particolarmente bassi per un locale che ha queste caratteristiche di periferia sub-urbana.
Solo una cucina eccellente potrebbe spiegare l’afflusso dei clienti; invece non si mangia certo bene. Le microscopiche pizze, se pure ben cotte, sono poveramente condite, alcune totalmente insapori e altre solo piccanti. I primi piatti di strangozzi li abbiamo trovati davvero molto sgradevoli: pasta industriale, mal cotta, peggio condita con sughi indistinti, tra l’acidulo, l’unto ed il dolciastro. Le carni sono migliori perché la cottura, per lo più alla brace, non è sbagliata, mancano però adeguati contorni: siamo rimasti esterrefatti quando ci hanno portato, tra i secondi, una minestra di fagioli e cotiche, invero non cattiva. Il bianco della casa è molle e acido; tra i vini in bottiglia ci è capitato un bevibile Grechetto di Caprai e un Rubesco Lungarotti che, essendo del 1971, rivelava i segni dello strapazzo ed era morto, polveroso e con forte gusto di tappo.

La Pecchiarda

Un tempo noi avevamo parlato bene della Pecchiarda, l’antico ristorante di Via S. Giovanni 1; l’anno scorso in una nostra visita, ci aveva lasciato profondamente scontenti; perciò siamo tornati quest’anno molto diffidenti e preparati al peggio.
Sembravano confermare i nostri tristi presagi l’antipasto di bruschette e crostini, veramente stantii e rinsecchiti e il vino bianco della casa, molle e disarmonico.
Ha risvegliato invece il nostro interesse la proposta dei primi, tutti non di banale routine. Abbiamo voluto provare gli agnolotti col sugo di pomodoro e cipolla e li abbiamo trovati gustosissimi, con una buona pasta fatta in casa, sugo e ripieno ricchi di sapore, e al giusto punto di cottura. Anche le penne alla bersagliera erano appetitose, profumate di erbe e pomodoro.
La scelta dei secondi era molto varia; tra i tanti abbiamo gustato: una appetitosa spalletta di maiale, preparata con un’equilibrata salsa di capperi; un pollo alla cacciatora dal sapore vivace; il pollo alla Pecchiarda farcito, un gioiello di armonia e delicatezza; ed infine l’anatra favolosa, per la morbidezza della carne, il buon sugo tirato e non unto, e i prelibati crostini di regaglie.
Le verdure ai quattro colori, offerteci per contorno, erano uno stufato non dissimile dal provenzale «ratatouille».
Come si sarà notato, tutto senza la minima traccia di panna! Anche il fatidico tiramisù era fatto in casa, con criterio. .
Abbiamo già detto del vino bianco, il rosso non siamo stati in grado di valutarlo, perché era quasi ghiacciato.
Non sappiamo bene spiegarci perché un ristorante che ha in cucina una persona così valida non curi meglio qualche particolare! Le persone che ci hanno servito erano tutte molto gentili e simpatiche, con una leggera nota di malinconia.
Il conto è stato veramente molto basso.

Trattoria Dei Pini

Nell’affocata periferia spoletina, ai bordi della superstrada, in località Tre Madonne si nasconde la trattoria Dei Pini, tra un rustico razzolare di galline.
Noi pensavamo di avere oramai già raggiunto nei nostri vagabondaggi per i ristoranti di questi posti, il massimo dell’abominio; invece la vita ci ha insegnato che il peggio si può sempre incontrare; perciò di questo ristorante diremo soltanto che, per ora, è il peggiore in assoluto della nostra vita.
Seduti ad un grande tavolo comune, abbiamo cercato dapprima di ristorarci col bianco della casa, un aceto annacquato e zuccherato; poi sono arrivati i primi che abbiamo lasciato quasi interamente nei piatti poiché erano immangiabili: sabbiosi tortellini alla panna e tartufo, dallo strano sapore di caffé-latte; strangozzi annegati in una inverosimile brodaglia rossastra; tagliatelle Dei Pini acide per la panna cagliata.
Coi secondi la musica non è cambiata: la bistecca era la classica suola di scarpe, il bollito consisteva in due fettine piene di grasso e filacciose, sporcate da una ributtante salsa verde, e la viscida trippa era un putrido ammasso nauseabondo.
Se fosse stato possibile il vino rosso sarebbe stato ancora peggiore del bianco: succo di barbabietole all’alcol etilico.
Il profiterol doveva essere caduto in terra e poi ricomposto. Il prezzo, apparentemente bassissimo, è stato in realtà addirittura alto, non solo per la pessima qualità dei cibi, ma anche perché le materie prime erano di bassissimo costo.
Siamo usciti nell’afa pomeridiana disgustati, ma resi un po’ più saggi dall’esperienza vissuta.

La Macchia

Difficile da trovare purtroppo il Ristorante Pizzeria La Macchia, tra i boschi della località Licina, ai margini di Spoleto! Se però riuscirete a trovarla avrete motivo di rallegrarvene. Per noi l’accoglienza è stata sorridente; il posto è bizzarro, ma non sgradevole e abbiamo assaggiato moltissime «sfiziosità» davvero ben preparate e appetitose. L’antipastone è una bella composizione di bruschette, canapè, galantine, prosciutto e fichi, melanzane, olive, piccoli tramezzini, e insalata di riso, tutto gustoso e fresco e una volta tanto ci ha permesso di godere del delicato profumo e del vivace sapore dell’olio umbro, quando è buono. I primi di strangozzi sono stati eccezionali e tutti senza l’ombra della panna; la pasta era fatta in casa davvero e i tre condimenti, agli asparagi, al tartufo, e all’olio, aglio e pomodoro, squisiti, anche se lo «scorzone» avrebbe potuto essere più abbondante. Per i secondi abbiamo voluto provare una insolita miscellanea: due buone frittate, una al tartufo e l’altra agli asparagi; discreti crostoni al prosciutto e tartufo. Le verdure gratinate erano non proprio ben riuscite perché un po’ bruciacchiate e acquose. Oltre a ciò abbiamo apprezzato gli splendidi calzoni ripieni di pecorino, maiale e stinco dalla pasta croccante e morbida e dai ripieni fragranti. Una prelibatezza è stato il pecorino fresco con le pere, mentre ci è sembrato ingenuo il Tiramisù messo in forma tra i biscottini. I vini bianco e rosso della casa erano l’uno fresco, aromatico, tipicamente erbaceo; l’altro brillante e vivace, di lieve stoffa e leggermente tannico. Il conto è stato adeguato.

Brevi soste

Noi siamo convinti assertori della superiorità del vino su ogni altra bevanda, ed anzi vi attribuiamo un carattere quasi sacro. Ciononostante abbiamo un debole per quei piacevoli miscugli comunemente chiamati «cocktail».
Spoleto che, grazie al festival, è diventata città dall’atmosfera internazionale, deve, a nostro avviso, sapere offrire agli ospiti anche queste bevande, miscelate con sufficiente professionalità.
Malgrado non sia stato facile siamo riusciti a tracciar una sorta di itinerario cittadino, percorrendo il quale, chi abbia voglia di una pausa ristoratrice potrà farla sorseggiando questo o quel cocktail, preparato da mani variamente esperte.
Al Bar Canasta in piazza della Libertà, che quest’anno abbiamo trovato un po’ distratto nel servizio, potrete bere un simpatico digestivo dall’orribile nome di Camicia nera, a base di liquore al caffè.
Da Vincenzo in corso Mazzini potrete farvi preparare dal giovane Alessandro un classico Casanova, buono per la tarda serata, e senz’altro migliore degli altri che il locale può offrire.
Al Bar Tebro in via della Filetteria, Luciano, dopo le due del pomeriggio, prepara con disinvoltura e correttezza diversi «classici», miscelandoli con gesti appropriati che rivelano buona capacità nel maneggiare gli utensili e nel dosare gli ingredienti. Noi vi consigliamo però di provare il Cocktail della casa a base di spremuta di arancia e di due diversi «vermut», aperitivo, dissetante e corroborante.
All’Azimut in piazza del Mercato, locale specializzato in buona birra, potrete dissetarvi anche bevendo l’omonimo cocktail, originale gradevole mistura dai molti ingredienti e dall’invitante colore verde menta. Fate in modo che ve lo servano ben freddo e non caldiccio come l’hanno offerto a noi.
Sulla stessa piazza al Golden Bar, padre, madre e figlio giovinetto si impegnano molto per offrirne una scelta di circa quindici tra «classici» e «di fantasia». Noi tra tutti abbiamo trovato meglio riuscito il Nove settimane e mezzo.
Anche loro dovrebbero però imparare che, quando è prescritto, i cocktail devono essere serviti molto freddi ed è anzi consigliabile che siano ghiacciati pure i bicchieri.
Nella splendida cornice del Ponte Romano e dei boschi circostanti l’Albergo Gattapone ha da poco aperto un american bar molto elegante, con una terrazza affacciata sul bellissimo panorama. Nume tutelare di questa impresa è il professar Giovanni Martoglio (docente alla scuola alberghiera di Spoleto), nostro amico da tempo, il quale guida con la sua preparazione e la sua esperienza il giovane allievo Ignazio. La carta del bar è davvero promettente: non ci avventuriamo a consigliare nessun cocktail in particolare perché sono tutti perfettamente preparati.
Un cocktail particolare consigliamo invece a chi si sieda ai tavolini del Tric-Trac, nella stupenda piazza Duomo. Per averlo rivolgetevi direttamente a Giuseppe, l’esperto e amabile factotum del locale. Non vi diciamo qual è la composizione della bevanda, ma affermiamo che è squisita e preparata magistralmente. L’ha inventata per noi lo stesso Giuseppe, per risollevarci in un giorno in cui eravamo particolarmente stanchi e affranti: ci ha fatto il dono di chiamarlo il Cocktail dei Farfalloni.