34 – Luglio ‘87

luglio , 1987

Un tram che si chiama desiderio

Non stupisce che da Un tram che si chiama desiderio sia stato preso il pretesto per fare anche un balletto. Non perché sia materia particolarmente adatta, ma perché la persistente eco di quell’opera continua ad esercitare il suo fascino.
John Neumeier ha però costruito uno spettacolo che non aiuta ad apprezzare la danza e le sue grandi possibilità espressive. Soprattutto sua è questa responsabilità, poiché, oltre che le fiacche coreografie, ha anche curato le scene, le luci ed i costumi. Il risultato è stato quello di montare una rappresentazione teatrale in cui si tenta di mimare un dramma senza usare la parola. Si sente, infatti, moltissimo la mancanza della parola, cosa che ci conferma la mancanza della danza. La danza deve essere sempre una forma espressiva autonoma in se stessa, anche quando entra in rapporto con altre forme dell’arte.
L’esecuzione dello Stuttgarter Ballett che abbiamo visto è stata una pantomima che trovava una certa efficacia negativà solo nella volgarità di una sessualità esibita, neppure provocatoriamente e perciò un po’ ridicola. Il pasticcio arrivava al miscuglio di forme di danza sporadicamente balenanti, assolutamente eterogenee: afro, modern dance e anche pas de deux e piroette sulle punte; ma questi richiami alla danza ne evidenziavano solo l’assenza. Neumeier si arroga anche il merito di aver trovato le musiche più adatte a questo dramma americano, di lussuria, violenza e follia, proprio nelle composizioni di due musicisti russi: Prokofiev e Schnittke.
Per Asylum e Belle Reve ha scelto un’esecuzione di Vision Fugitives, eseguita dal vivo dal pianista Glenn Prince; ma questa musica risultava totalmente estranea perché si esprimeva attraverso strutture raffinate, melodie dal sapore antico, tornito ed aristocratico, che nulla hanno a che vedere con la provincia americana. La Prima sinfonia di Schnittke, diffusa in una registrazione della prima esecuzione a Gorki, nella seconda parte, non è adatta né disadatta: è semplicemente insopportabile, tanto è brutta.
Marcia Haydée saprebbe ballare e recitare, ma qui poteva solo lasciarlo intuire.
Richard Cragun esibiva il bel corpo in acrobatiche contorsioni da kamasutra.
Lisi Grether era soprattutto graziosa.
Tutti gli altri erano presenze senza ragione, se pure facevano intravedere potenziali capacità inespresse.