34 – Luglio ‘87

luglio , 1987

Incontri musicali

Domenica 28 giugno

Quest’anno è ripresa la bella tradizione, per troppo tempo interrotta, dei concerti delle ore diciotto. Purtroppo non si possono tenere al Teatrino delle Sei, come sarebbe auspicabile, poiché illocale sotto il Caio Melisso non è ancora agibile; perciò si svolgono nella suggestiva chiesa romanica di S. Eufemia in via Saffi. Questi incontri musicali curati da Spiros Argiris e Wilfried Brennecke assistiti da Ilaria Dagnini promettono di essere tutti molto interessanti per la curata ricerca di musiche non consuete, con grande spazio dato, finalmente, alla musica contemporanea.
Il concerto di questa sera comprendeva musiche di Nietzsche e Mahler.
La poca produzione musicale del grande filosofo non è, di per sé, particolarmente interessante, ma contribuisce a meglio conoscere a fondo la tormentata personalità dell’autore di Così parlò Zaratustra.
Questa musica che si protende verso il futuro è anche lo specchio di un clima culturale e del modo di intendere l’arte di un’epoca. Inoltre proprio quest’anno che a Spoleto si sta eseguendo il Parsifal è interessante ascoltare le semplici note scritte dal filosofo che fu coinvolto affettivamente in un tormentato rapporto con Wagner.
Il concerto si è aperto con cinque dei suoi lieder, il primo dei quali, opera giovanilissima, che risale al 1861, intitolato Meinz Platz von der Tur, è una sorta di melodia schubertiana, sorretta da un banalissimo accompagnamento pianistico consistente in accordi armonicamente non ben concatenati tra di loro. Il secondo, su versi di Puskin, molto più ricco di fantasia nell’accompagnamento, è notevole per gli accordi questa volta armonicamente ben collegati. Il terzo, su versi di Petof, è equilibrato, pur con punte di sincera drammaticità. Il quarto è composto sui versi di una ballata di Chamisso e consiste in una melodia dalla monotonia esasperante, ben sorretta dal solido accompagnamento. L’ultimo, di cui Nietzsche ha scritto anche i versi, offre all’ascolto una melodia interessante, ricca di molti frammenti ben concatenati e il pianoforte sprigiona armonie e significati non prevedibili.
Il mezzosoprano greco Kiki Morfoniou aveva una voce molto possente, talvolta anche inadatta alla semplicità di queste composizioni; la sentivamo per la prima volta e in un repertorio non impegnativo, vogliamo perciò essere cauti e siamo pronti a smentirci, ma diciamo chiaramente che non ci è piaciuta. Nel terzo lied proprio non andava a tempo e nell’ultimo l’intonazione era continuamente calante. Poiché il timbro di questa cantante ci piace, speriamo davvero di doverci ricredere. Giuseppe Bruno è stato un valido accompagnatore.
Subito dopo è stata eseguita la versione per pianoforte di un poema sinfonico, in realtà mai orchestrato, Ermanarich, che vuole ricreare le atmosfere di una saga di amore, delitto e follia, di un antico eroe.
Il brano ha una buona capacità narrativa, con momenti di bizzarria armonica quanto mai interessanti, nonostante la ripetitività un po’ stucchevole di alcune successioni accordali. Il pianista Seann Alderking ha eseguito il brano con piglio robusto, pur senza lasciarsi sfuggire i momenti più sinuosi e morbidi: ha ecceduto però un po’ troppo nell’uso del pedale di destra.
Il concerto si è concluso con dieci lieder di G. Mahler per soprano e pianoforte tratti dai tre volumi dei Lieder und Gesange aUs der Jugendzeit. Queste melodie sono arcaicizzanti e stupende, di una semplicità disarmante, ma ricche di malizia e sapienza compositiva. Il pianoforte non è ridotto al ruolo di schematico accompagnatore, ma dialoga continuamente con la voce, sviluppando idee geniali e fascinose. La bella voce chiara del soprano Penelope Lusi ha eseguito queste canzoni con grande inventiva. Giuseppe Bruno l’avvolgeva col bel suono delle note limpide e rotolanti del suo pianoforte.

Concerti di mezzogiorno

Giovedì 25 giugno

Sono iniziati oggi al Caio Melisso i concerti aperitivo organizzati da Paula Robinson e Scott Nickrenz, che si alterneranno con quelli curati direttamente dal Maestro Menotti. Il primo brano in programma era la Sonata in sol maggiore di J. S. Bach: brano dal grande equilibrio formale in cui i due strumenti hanno uguale importanza. Noi ben conosciamo il violinista J. Swensen e lo stimiamo, ma questa volta è proprio partito male: le prime battute erano decisamente non accordate col cembalo ed il suono del violino risultava rigido e quasi violento; inoltre tutto il primo tempo è stato suonato in modo troppo veloce, quasi a precipizio. Per fortuna le sciolte e pacate mani di J. Gibbons hanno contribuito a riassestare il violino, nonostante il vortice sonoro che scaturiva da entrambi gli strumenti. La calma ha contrassegnato tutto il secondo tempo. Nel terzo tempo il clavicembalo solo è stato stilisticamente perfetto, con grande equilibrio dinamico-sonoro. Nel quarto movimento il violino è entrato con un suono un poco aspro, riuscendo però in seguito a porgere adeguatamente le belle frasi musicali. Nell’ultimo tempo si è evidenziata ancora una volta l’aggressività del violino, sempre ben moderata dall’equilibrato clavicembalo.
È seguito il Quartetto in mi bemolle maggiore, op.44, n.3 di F. Mendelssohn che ci ha dato l’opportunità di veder apparire a Spoleto una nuova compagine musicale d’oltreoceano: il Quartetto Ridge (Krista Bennion Feeney, Robert Rinehart, violini; Ah Ling Neu, viola; Ramon Bolipata, violoncello). L’opera si è aperta con una bella pagina di romanticismo abbastanza sereno, dalle consequenziali, ma non ovvie, modulazioni, in cui i quattro strumenti hanno mostrato precisione e fluidità. Nella seconda parte, più drammatica ed articolata in piccoli temi rincorrentisi, i quattro hanno saputo dare equilibrio al tutto, valorizzando i momenti più intensi. È seguito un terzo movimento di bella cantabilità, giustamente resa e poi gli esecutori hanno affrontato con proprietà e slancio il serrato discorso musicale conclusivo.
Siamo felici di aver incontrato questi quattro sensibili e bravi interpreti.

Venerdì 26 giugno

La piacevole sorpresa del primo concerto curato dal Maestro Menotti è stata quella di presentarci un recital vocale delle sei fanciulle-fiore del Parsifal, che si sono rivelate ottime soliste, interpretando una serie di lieder, da sole o in duetto, di vari autori.
Il primo brano è stato un lied di Mozart, An Chloe, superbo nella sua splendente semplicità. La bella voce di Antonella Muscente (soprano) pur se corretta, ci è parsa ancora un po’ immatura per riuscire ad unire senza la minima sbavatura, come si deve, precisione e morbidezza. La stessa Muscente ha reso ottimamente, senza riserve, l’ampia melodia di note tenute di Nacht und Traume di Schubert, con un’intonazione e una respirazione ineccepibili.
Sono seguiti due brani, per il vero non bellissimi, di Bellini e Verdi; il melenso Malinconia e il volgarotto La Zingara.
Loredana Putzolu (soprano) a parte una troppo evidente esitazione nella prima nota della pagina belliniana, si è andata via, via scaldando, raggiungendo un buon livello di interpretazione.
Nei successivi due duetti di Mendelssohn Abschied der Zugvogel e Herbstlied Agnes Quesnel Chauvot (soprano) e Donna Stephenson (mezzo soprano) sono state molto brave ed intonate nel rendere la bella melodia malinconica dell’uno e il dialogo articolato e vivace dell’altro. La Chauvot ha cantato poi l’Extase di Debussy districandosi bene nelle difficili e raffinate sfumature, cui ha fatto seguito un’esecuzione eccellente di quel piccolo gioiello di Poulenc che è la Petite servante. La Putzolu e Lucia Rizzi (mezzo soprano) hanno interpretato duetti di Schumann dallo Spanische Liedersbuch, il primo, garbatissimo ed eseguito con delicatezza e precisione; nel secondo, più spavaldo e ammiccante, sono state brave ma forse meno attente. La Rizzi da sola ha rivelato bella e piena vocalità unita a temperamento nel Das Verlassene Magdlein di Wolf. Il brano di Pizzetti, I Pastori, sui celebri versi dannunziani è splendido per le bellissime melodie di taglio modale e le arcaiche armonie; la Stephenson ce ne ha regalato un’esecuzione squisita e ben equilibrata.
Ilaria Galgani (soprano) ha eseguito L’ aria di Lia dall’ Enfant Prodigue di Debussy; valorizzandone le varie e cangianti atmosfere; e poi la stessa Galgani e la Muscente hanno brillantemente saputo allacciare e sciogliere le loro voci nel tenero Gruss di Mendelssohn ed hanno concluso eseguendo gustosamente An die Nachtigal di Schumann. Il maestro Stephen Kramer è stato l’ottimo accompagnatore al pianoforte.

Sabato 27 giugno

Il concerto é iniziato con un brano di un giovane compositore americano Lowell Liebermann: Variazioni su un tema di A.Bruckner op. 19 eseguito oggi per la prima volta in Europa dalla giovane pianista Erika Nickrenz.
Il bel tema è ricco di possibilità: nell’elaborazione di Liebermann offre l’occasione di un bel pianismo di concezione classica nel rispetto dell’anatomia e della fisiologia delle mani dell’esecutore. Dall’idea originaria sorgono variazioni, parafrasi, sovrapposizioni armoniche, belle invenzioni e belle melodie. È assente ogni desiderio di inutile stravaganza. L’esecuzione della Nickrenz è stata davvero eccellente: le sue mani sono fluide e robuste allo stesso tempo e hanno saputo essere tenerissime ed impetuose; ogni nota era studiata e calibrata rivelando una pianista d’indiscutibile musicalità.
Il terzetto concertante di Paganini, qui eseguito da E. Fisk alla chitarra, S. Isserlis al violoncello e Scott Nickrenz alla viola, è un brano bello e scanzonato che vede nel primo tempo gradevoli botte e risposte tra gli strumenti; una serenata galeotta costituisce il secondo tempo cui segue un delicato adagio e che si conclude con un rondeau brillante e virtuosistico.
L’esecuzione dei tre musicisti è stata piacevole: il violoncello e la chitarra erano equilibrati e sciolti e con piacere abbiamo ritrovato il morbido suono della viola di Nickrenz, che, però, sa anche essere arguto.
Il trio con pianoforte in sol minore op. 15 in tre movimenti di Smetana è poetico e drammatico e il terzetto che lo ha eseguito è stato eccezionale nell’assoluta unitarietà emotiva e tecnica. Il violino di J .Swensen ha ritrovato lo smalto del suo bel suono preciso; C. Brey al violoncello ha saputo essere accorato e robusto;
E. Nickrenz al pianoforte è stata precisa e talvolta addirittura sensuale. Proprio una bella esecuzione.

Lunedì 29 giugno

Dopo qualche indugio, dovuto al ritardo misterioso della campana del Duomo, Paula Robinson ha introdotto il chitarrista E. Fisk ed il violinista J. Bell impegnati nell’esecuzione del Duo Concertante di Paganini. Il brano in tre movimenti ha una sua freschezza, ma finisce col risultare noioso perché troppo ovvio. I due ne hanno offerto un’esecuzione un po’ scolastica, con qualche sbavatura. La stessa Robinson ha eseguito al flauto la Danse de la chèvre di Honneger: il breve pezzo inizia con la ripetizione di chiari e distesi intervalli, cui segue una serie di note saltellanti e il tutto si risolve poi di nuovo sugli intervalli. La flauti sta lo ha reso con un’interpretazione assorta e molto accurata.
J. Y. Thibaudet al pianoforte è stato impeccabile nell’eseguire la Quatrième Gnossiène di Satie: la sinuosa melodia spagnolesca si fondeva, spesso, con l’ininterrotto ed equlibratissimo arpeggiare della mano sinistra; un grumo sonoro, con un arresto improvviso, era la conclusione.
Flauto e pianoforte, insieme, si sono cimentati in una trascrizione da un Concerto per pianoforte ed orchestra di Barber consistente in un bel piccolo tema terminante con un punto interrogativo, continuamente ripetuto, variato e modulato con delicatezza e grande semplicità armonica. Entrambi ottimi, anche per l’eccellente impasto sonoro.
Il Quartetto con pianoforte in mi bemolle maggiore di Schumann inizia con un primo tempo preceduto da una breve introduzione che ricorda un canto liturgico, ed è caratterizzato da un sano vitalismo e da una grande limpidezza armonica. Lo slancio si arresta per due volte in poche misure nuovamente di carattere liturgico; il secondo tempo è segnato da un lavorio affannoso, appena mitigato da qualche momento più disteso; il penultimo tempo si fa notare per le belle e sentimentali melodie; il finale è abbastanza sereno, ma con qualche spunto drammatico. Abbiamo apprezzato l’accurato lavoro d’insieme dei quattro strumenti; finalmente abbiamo anche potuto valutare appieno la buona qualità del violinista Bell; curata come sempre la presenza della viola di Nickrenz e del violoncello di Brey.
Bravissimo nella sua virile sensibilità J. Y. Thibaudet. Così si è concluso il concerto del giorno dei SS. Pietro e Paolo.