33 – Giugno ‘87

giugno , 1987

«La vita privata» a cura di Philippe Ariés e George Duby, è il titolo di un’opera che si prevede articolata in cinque volumi, giunta per ora alla sua seconda tappa: La vita privata dal Feudalesimo al Rinascimento, curato in modo particolare da Duby, con sa.ggi di D. Barthélemy, P. Braunstein, P. Contamine, G. Duby, Ch. De la Roncière e D. RégnierBohler (ed. Laterza 1987, pagine 553, Lit. 40.000). Premettendo che gli autori prendono in esame prevalentemente la situazione francese, anche questo volume ci fa capire come sia difficile cogliere la realtà della vita privata, specialmente nella prospettiva storica meno immediata. Forse con l’affermazione della struttura sociale borghese nel sette e ottocento, questa espressione sarà più comprensibile, anche perché la connotazione di privato avrà acquistato caratteristiche di maggior affinità a quella modernamente intesa di cui viviamo la pratica esperienza. Ci sono tre possibilità di parlare del privato riconducendolo a categorie generali sufficientemente comprensibili: il rapporto di coppia, il luogo oscuro e la fantasticheria interiore del singolo.
Duby e i suoi collaboratori hanno cercato proprio di fare questo, ottenendo un risultato forse non prevedibile: hanno cioè finito col parlare soprattutto della casa, descrivendo al suo interno lo svolgersi più che di una vita privata, di una vita quotidiana.
Il quotidiano è necessariamente privato?
In realtà nella casa avvengono o per lo meno resta la testimonianza soprattutto di riti poco meno pubblici di quanto ‘non lo siano la cerimonia religiosa, la battaglia o l’udienza.
Infatti quanto possono considerarsi atti privati il banchetto, il matrimonio o la morte? Ne deriva allora che si finisce con l’intendere per privato quello che si svolge all’interno di un luogo considerato proprietà privata e i due termini non possono essere scissi; se dopo il mille il concetto di proprietà privata si va sempre più precisando, come bisogna però considerare il monastero: proprietà privata o pubblica?
E il tipo di vita collettiva che vi si svolge e che viene analizzato all’inizio del volume si svolge in un ambito pubblico o privato?
La cosa è tutt’altro che chiara sia giuridicamente sia economicamente.
Ad aggiungere difficoltà alla ricostruzione di un privato tanto remoto contribuisce anche il fatto che abitazioni ed oggetti d’uso dell’epoca ci sono giunti così deteriorati e modificati, quando non sono andati completamente distrutti che tentarne una lettura filo logicamente corretta e una ricostruzione diventa un compito arduo i cui risultati non possono sfuggire all’ambiguità.
Proprio la confusione generata dall’ambiguità è uno dei pregi del libro, che ci pare essere bellissimo perché non banalizza mai e non tenta di ridurre a schemi la ricchezza dell’esistenza di quelle lontane epoche.
Spesso la stereotipia è infatti il difetto maggiore di quei libri che pure hanno il pregio di voler affrontare lo studio della storia non solo attraverso la narrazione di battaglie, e la successione cronologica di eventi e proclami, ma che finiscono con approssimative descrizioni degne tutt’al più di figurare come sceneggiature di film storici californiani.
Ben venga quindi la scelta della confusione che non scade comunque nella mancanza di metodo, anche se ciò causa affastellamento e sovrapposizione di discorsi: si parla dell’importanza del «letto di parata», delle liti, verbali ed epistolari fra coniugi, delle fantasie sulle nudità e sull’igiene corporale, del significato del posto a tavola, del gineceo, degli atti notarili e dei conti di casa, dei tessuti e dei materiali per l’edilizia e l’arredamento, con ripetizioni, digressioni, citazioni, considerazioni.
I brani letterari riportati, gli stralci da diari e documenti, il materiale iconografico rendono il tutto attraente come un libro d’avventure che, però, giustamente non ha una fine.
Il materiale non resta mai inerte, agisce su chi legge, stimolando, fornendo spunti di riflessione, materia viva, reale e.
fantastica.
Noi l’abbiamo letto tutto d’un fiato e la sola cosa che proprio non ci è piaciuta è stata la pessima traduzione, sciatta e talvolta anche imprecisa.