31 – Aprile ‘87

aprile , 1987

Piaceri

Pare che Rosanna Benzi abbia fatto l’amore!
La scrittrice genovese da venticinque anni chiusa in in polmone artificiale ha manifestato nei modi più disparati la propria capacità di condurre una vita straordinariamente anormale – come pochi riescono ad immaginare – scambiando la propria condizione di dipendenza con una capacità di produrre lavoro utile a sé e agli altri decisamente fuori dal comune. Quello però che permette ai giornalisti di scordare il tono lacrimevole e deamicisiano sembra essere solo il fatto che la signorina Benzi rivendichi ad alta voce il diritto alla sessualità, inteso anche come diritto al piacere! Al di là del problema specifico, si ripropone la questione del diritto al piacere sessuale dei malati e del dovere di terapeuti, famigliari e conoscenti di riconoscere o negare il diritto al piacere sessuale. Il desiderio sessuale coinvolge, molto più spesso di quanto si creda, i malati e le persone a loro più vicine. Questo vale per le malattie occasionali e vale anche per !e situazioni di invalidità permanente più o meno grave. Immediatamente, di fronte ad una prospettiva generale, l’incapacità di comprendere dei più vede la soddisfazione di questo desiderio come atto di perversione o di assurda abnegazione. Si cerca cioè di negare che nel rapporto sessuale con un malato possa esserci nel partner un sano ed analogo piacere, un desiderio ugualmente forte. A questo proposito starebbe forse allo psicoanalista dire qualcosa sulla ferita narcisistica provocata all’individuo «sano» dall’idea che qualcuno così diverso da lui e dal suo concetto di bello possa invece sembrare ad altri bello e desiderabile (oppure brutto e desiderabile, se volessimo negare l’argomentazione che: bello è sempre ciò che piace). Diventa quindi importante evidenziare, per quanto possibile, l’importanza della sessualità per tutti gli esseri umani. Chi è malato partecipa a titolo intero del concetto di essere umano, e chi è a contatto con il malato è fortunato se riesce a desiderarne il corpo. Fondamentale è però che la sessualità sia agita da persone nel reciproco e totale rispetto di sé e degli altri. In questi casi rispettarsi significa non imporsi e non imporre un rapporto sessuale; ma anche nel permetterlo e permetterselo. La cattiva coscienza si compiace di esaltare differenza e ricatto nei casi di invalidità clamorose o di stati fisici o psichici clamorosamente diversi dal canone abituale. Se qualcuno accenna con orrore a quei genitori che si sono sacrificati perché i loro figli potessero soddisfare un desiderio tanto urgente, è importante replicare che di orrendo c’è solo l’ipotesi che l’abbiano fatto senza desiderarlo e in preda al ricatto della disperazione, senza gioire dì una possibilità di dare a avere insieme piacere. Certo, è difficile giudicare dall’esterno se il portantino, il volontario o il terapeuta vìolino con atti di libidine corpi che non sanno difendersi, oppure se diano, con il loro piacere, piacere a chi prova lo stesso desiderio. Questo dovrebbe solo insegnare a non giudicare mai dal di fuori. La libertà di disporre di sé può avere come solo limite il rispetto della libertà dell’altro. Norme, regole e anche leggi debbono governare e punire tutelando la libertà di ciascuno – il principio è valido malgrado i disastrosi errori nell’applicazione di ogni legge, anche giusta -. Il moralismo invece deve solo tacere, perché è ignorante di troppa parte della realtà che ha creato le condizioni di un rapporto sessuale così particolare. Ogni rapporto, sessuale e non sessuale, è «particolare», perché ogni individuo è particolare. Siamo tutti diversi e solo in questo siamo uguali!