Il rione Monti ha caratteristiche decisamente popolari da sempre e anche la abbastanza recente colonizzazione di stranieri e intellettuali ha quasi rispettato un tono vagamente «rustico» di luoghi e cose per cui suscita una certa meraviglia l’aspetto del ristorante «di pesce» Bonne Nouvelle di via del Boschetto 73, con le sue colonne doriche stampate sul menù e la grande profusione di delicate tinte, rosa e giallino, su pareti e tovaglie, con l’aggiunta di candidi stucchi e lucenti ottoni che gli danno un tono più da boudoir di Maria Antonietta che non da locale di pubblica ristorazione. L’accoglienza è cortese, anche se non proprio professionale e viene subito offerto il bicchiere di frizzantino come propiziatorio al pasto. Dalla lista risultano non più disponibili alcuni piatti, allora optiamo per un sauté di tartufi di mare, un gratin di cozze e due diverse preparazioni di salmone: non male il sauté, anche se il sugo risente ancora del vino con cui è stata fatta la salsa, peggio il gratin, forse perché preparato da molto tempo e le cozze sono quindi troppo asciutte; il salmone all’arancio risulta un piatto abbastanza divertente, anche se elementare come un giochino, il salmone marinato invece è tagliato a fette troppo spesse, mortificando così l’eccellenza della carne che il limone non è riuscito ad ammorbidire uniformemente. Con i «primi» il discorso si fa insidioso: gli spaghetti al capriccio al cartoccio annegano in una quantità di panna che avvilisce la pasta, contraddice il sugo di pesce e litiga con il gusto piccante delle spezie; il riso agli asparagi e le crespelle sono conformi all’infantile propensione per i derivati del latte materno già manifestata dal cuoco e qui espressa senza pudore alcuno. Di quello che è seguito non fa molto conto parlare: spiedini di scampi e mazzancolle bruciacchiati e di qualità scadente e una trancia di spigola all’isola, uccisa la seconda volta dall’acido della salsa al limone, che non permette a nessun altro sapore di sopravvivere. Il carciofo alla romana è privo di qualunque gusto e profumo. I dolci, più scontati che mai e mediocri, sono un tiramisù éd una crème brulée. Dei vini non ci è stata presentata una carta, così che in un primo tempo siamo stati invitati a scegliere tra i soliti Pinot, Rapitalà, Aragosta ecc. oppure ad adattarci al vino della casa. Noi abbiamo preferito provare quest’ultimo e ci è stato portato in tavola un esile, seppur non sgradevole, bianco da tavola La Rocca, di Rocca di Papa, vinoso, fresco e acidulo. In un secondo tempo, viste le nostre perplessità, sono uscite dal cilindro del gestore nuove proposte, questa volta decisamente più accettabili, tanto che ci siamo potuti rallegrare di un ottimo Greco di Tufo del 1986, brillante e profumatissimo. Col tempo la disponibilità ad occuparsi di noi è notevolmente migliorata, per cui a fine pasto, oltre ai soliti, anche se fuori posto qui, cantucci col Vin santo, ci sono stati offerti un «puro malto» di dieci anni e gli ovetti di cioccolato accompagnati da un conto quasi modesto.
Le Streghe è il nome del ristorante aperto da poco in Vicolo del Curato 13, in Borgo S. Spirito. L’interno è in quello stile rustico-moderato caro alle nonne: tovaglie color salmone e sedie impagliate, un pendolo alla parete, una vecchia credenza. Ai tavoli badano una giovane sparuta e un po’ aspra e una matrona opulenta tanto gentile da sembrare invadente. La clientela è composta da una fauna composita, ma accomunata dalla volontà di emergere: donne con il prèt à porter d’annata, berlusconiane come i loro uomini, che sono tanto volgari da estrarre, con la mano lasciata libera dalla sigaretta, un gigantesco sigaro dal taschino che mostrano alla vicina con allusivo ed ebete sorriso; più in là c’è l’architetto giovane ancora ma dai capelli sapientemente imbiancati, insieme ad una donna in tailleur mascolino e corta zazzera. Al nostro fianco ride una cavallona d’epoca in compagnia del suo commerciante obeso.
Abbiamo tirato così a lungo il bozzetto di «genere» perché siamo restii a dar l’avvio alle solite lamentazioni e, prima di iniziarle, vogliamo rivolgere una preghiera. Non aprite un ristorante soltanto perché vi è venuta in testa «un’idea che potrebbe funzionare». Prima preoccupatevi di verificare le vostre capacità in cucina o, almeno , assicuratevi almeno delle credenziali che vi presenta lo chef che deciderete di assumere: proprio non basta l’ambientazione ed il vero o supposto savoir faire!
Le ricette che abbiamo provato non erano né tradizionali né creative: erano pasticci; qualcuno meno sgradevole, alcuni disgustosi, ma tutti lontani dall’essere professionalmente accettabili, per cui stendiamo un velo caritatevole. Che le intenzioni non siano le peggiori noi abbiamo cercato di dedurlo dalla qualità e dal buon livello di conservazione dei vini, tutti gradevoli, di marca, serviti alla temperatura dovuta, ma non sufficienti ad assolvere l’avventurosa impresa, anche se per il momento il conto è così modesto da indurre alcuni in tentazione.