31 – Aprile ‘87

aprile , 1987

Non è facile capire chi abbia materialmente scritto il libro Il dilemma nucleare (Sperling e Kupfer, pagg. 185, Lit. 18.500) poiché la copertina dice «Carlo Rubbia con Nino Criscenti», mentre il discorso all’interno è sempre condotto in prima persona ‘dallo scienziato italiano; ma la cosa è di secondaria importanza. Molto importante invece è la chiarezza e l’onestà con cui sono rese le idee del premio Nobel per la fisica per il 1984.
Che gli scienziati abbiano il coraggio di parlare chiaro è cosa piuttosto rara: in genere preferiscono nascondersi dietro linguaggi tecnici, e quindi astrusi per i più, lasciando la divulgazione scientifica a personaggi di dubbia preparazione che in genere o risultano essere ridicolmente dogmatici o tradiscono e banalizzano il senso delle stesse teorie scientifiche.
Questo volumetto dimostra invece che è possibile farsi capire da tutti mantenendo un ottimo livello di rigore scientifico.
Sulla questione nucleare è particolarmente importante che tutti siano adeguatamente informati; è inutile infatti strillare: nucleare sì, oppure nucleare no, senza conoscere nemmeno approssimativamente i termini della questione; specialmente in questi tempi in cui l’energia sprigionata dagli atomi viene descritta in termini quasi soprannaturali di volta in volta espressione demoniaca di distruzione o angelica promessa di salvamento e di progresso.
Anche per la sua chiarezza, Rubbia non dà scampo: bisogna avere il coraggio di prendere posizione dopo che si sono conosciuti i termini del problema. Prendere posizione non significa essere esenti da contraddizioni e la contraddizione fondamentale di Rubbia si esprime così: prima dichiarando che: «Lo scienziato si sente veramente tale solo quando è completamente libero (…) come professore alla Harvard University sono protetto da qualunque pressione e condizionamento (…) La libertà della scienza è parallela alla libertà del mondo accademico (…) Nella Scienza contano solo le idee, i fatti.» Poi dimostra, raccontando i fatti della ricerca scientifica nel mondo, che le scelte energetiche dipendono soprattutto da ragioni politiche, ideologiche e dalle esigenze belliche. Innanzi tutto a pagina 12 già dice:«Il quadro non è incoraggiante se è vero che i quattro quinti degli scienziati di tutto il mondo lavorano direttamente o indirettamente in ricerche applicative orientate verso l’industria bellica». Per concludere poi alla pagina 178: «Per ottenere grandi risultati scientifici e tecnologici non sarebbe necessario passare per la guerra. Nella realtà dei grandi progetti è spesso così (…) oggi sono le prospettive di utilizzazione in campo militare che offrono le opportunità, i migliori pretesti per sbloccare gli enormi capitali necessari a sviluppare la ricerca, se non quella di base, sicuramente quella applicata».
Dopo la bellissima, perché molto chiara, descrizione, resa senza retorica alcuna, della tragedia di Chernobyl, Rubbia spiega bene quelle che sono le conseguenze immediate, ma dice anche molto chiaramente come sia difficile prevedere gli effetti a lungo termine e quindi prevenirli. Prosegue poi parlando della ricerca delle energie alternative con inferiore potenziale distruttivo e che anche non siano economicamente troppo svantaggiose, cioè che non richiedano più consumo energetico di quanta energia possono mettere a disposizione: «La società moderna è basata sullo spreco energetico (…): una bottiglia di Coca Cola contiene una decina di calorie; ce ne sono volute almeno cento volte tanto per fare il vetro, produrre il liquido, bollirlo, distillarlo. L’apporto energetico di un bicchiere di Coca Cola è solo l’uno per cento di quanto si è speso per farlo (…) Quando passiamo (…) alla produzione agricola intensiva, si scopre che, per produrre i cereali, l’investimento energetico sotto forma di concimi e lavoro meccanico, può essere persino dieci volte la quantità di energia che ne ricaviamo in termini calorici».
La lettura di questo libro inoltre mette addosso una sottile angoscia poiché costringe a prendere atto del fatto che non si può più tornare indietro; il processo disruttivo ha intaccato così profondamente il nostro habitat che le ferite non si potranno mai più rimarginare completamente. «Tanto più bruciamo carbone, petrolio, gas o combustibile nucleare, utilizziamo le risorse termiche generate dal sistema naturale e trasformiamo una energia nobile in calore, tanto più avanziamo in un processo degenerativo irreversibile.
Queste energie non sono rinnovabili, e cioè non saranno mai più recuperate in termini meccanici o elettrici.
L’entropia è una variabile di stato, è la misura scientifica di tutte le cose che non possono più essere come erano prima, della energia che resta conservata ma finisce in uno stato irreversibile di calore, è la misura del nostro invecchiamento e di quello dell’Universo.» Balza anche evidente che il nucleare non è il peggiore di tutti i mali, la combustione del carbone, degli idrocarburi e dei loro derivati intossica ed inquina; l’anidride carbonica circonda la terra come una sfera aristotelica, producendo quell’effetto serra che tra non molto ci manderà tutti arrosto per il continuo aumento della temperatura sul pianeta; le piogge acide hanno irrimediabilmente distrutto immense foreste millenarie ed è perciò ridicolo fare le feste degli alberi in cui ignari bambini mettono a dimora alberelli alti un palmo che, come loro, hanno così scarse probabilità di futuro.
Dopo aver detto esplicitamente: «Se dovessi votare io voterei decisamente contro il rischio del nucleare» (p. 18) e aver dimostrato la pericolosità suicida della scelta energetica basata sul processo di fissione nucleare, Rubbia dice però anche molto chiaramente: «Se dovessi votare io voterei decisamente contro il rischio del carbone e del petrolio.» Soggiunge: «E allora?» Allora, come scienziato propone la sua alternativa: «C’è un’altra energia solare, è quella che anima l’universo, fa brillare le stelle, permette la vita. Si chiama fusione nucleare e non è altro che una forma naturale di combustione, ma di innesco molto difficile appunto perché avviene tra nuclei e non tra atomi, come nel caso della combustione ordinaria. Perché non ispirarci al processo energetico dell’universo e creare sulla terra, in laboratorio, un sole che potremo accendere e spegnere a volontà, liberandoci dai «capricci» dell’energia solare? Con la fusione nucleare controllata, un giorno sarà forse possibile disporre di energia sicura, pulita, economica, inesauribile. Sarà quindi probabilmente questa la soluzione definitiva del dilemma energetico per il genere umano.» (p. 147).