27 – Dicembre ‘86

dicembre , 1986

Arturo Martini (Treviso 1889 – Milano 1947) è indubbiamente un artista significativo nel panorama della scultura italiana recente. In anni di intensa attività, ha saputo assorbire suggestioni dell’antico e del presente, rielaborandole e riproponendole con intelligenza ed originalità.
La mostra allestita alla galleria Arco Farnese in via Giulia 180, potrebbe offrire buoni spunti di riflessione, se lo spettatore non fosse oppresso da un ambiente angusto e sgradevole e le opere affastellate malamente. In quel soffocante affollamento si ha una brutta sensazione che accentua anche la poca simpatia che le opere di Martini ispirano. Il lavorio dell’artista è evidente, così la ricerca, ma tutto è leggermente odioso, con un pizzico di volgarità, una paura di dire che fa sì che si dica troppo poco. Non c’è, nella sua opera, eroismo e c’è poca poesia. Il tentativo poetico è insistito soprattutto nei lavori del periodo dègli «etruschi» o «alessandrino» come le terre cotte Figura d’uomo, L’ospitalità e La moglie del pescatore, tutte datate tra il 1930 e il 1931 e nella Nena di poco precedente (1928), ispirata ad una scultura classica di cui una copia è conservata al Museo dei Conservatori di Roma. Ancora di ispirazione classica il Torso virile del 1928 versione in terracotta di un soggetto replicato anche in bronzo, e in gesso, che raffigura in realtà solo una schiena di ragazzo (il verso è cavo), in cui lo sforzo di ritrovare il ritmo e il respiro degli antichi capolavori greci è più che mai evidente, benché malamente riuscito.
Due enormi bronzi: Il dormiente del 1921 e La Zingara del 1934-35, pur nella distanza cronologica, ci paiono confermare un grande limite di Martini, che soggiace spesso al peso delle grandi masse, grevi ed inespressive e decisamente volgari. Del tutto squallida è anche quell’orribile smorfia che appare su alcuni volti, che dissennatamente è stata da qualcuno chiamata «sorriso arcaico». Il movimento dei «Valori plastici», di cui Martini è considerato notevole esponente, accolse tra le sue fila artisti di orientamento molto diverso che, per un certo periodo, cedettero ad una sorta di fraintesa esigenza di classicità che vollero rintracciare nell’arte italiana del quattordicesimo e quindicesimo secolo e in una sorta di filosofia neo-platonica che Mario Broglio propagandò dalle pagine della sua rivista. I Greci e gli Etruschi sono però quasi estranei a Martini che si trova più a suo agio in un espressionismo borghese che si esprime al meglio in ritratti come Lo Zio del 1924 o Lilian Gish del 1930.

Alla galleria d’arte la Margherita di via Giulia 108, sono esposte le ultime sculture ed alcuni acquarelli di Valeriano Trubbiani, scultore marchigiano attivo ormai da molti anni e approdato a questa «Insula felix» come ha intitolato questa sua mostra, dopo esperienze apocalittiche ed orripilanti che ora ci pare avere raggiunto una visione della realtà distesa, ironica, magari un po’ favolistica e che ha acquisito una capacità di trattare i materiali con morbida eleganza. Qua e là è ancora percepibile una sottile ansia, come un timore di catastrofe, stemperato però dall’accentuata piacevolezza delle forme. Quelle che si vedono sono immagini antiche di città metafisiche come l’insula silentis o la urbis fragilis: architetture in cima a paesaggi di rocce cangianti, tra cui sono acquattate belve, dominate da fallici e pudichi alberi, e dallo sguardo di un fisso Savonarola. Oppure migrazioni di ippopotami e rinoceronti in compagnia di pesci, affondati in immersioni lacustri, o impegnati in pericolosi trasbordi. Ancora macchine belliche o industriali, minacciose e presaghe come il nosocomium rhinoceros o le mirabilia turrita urbis. Il gioco con una bizzarra lingua latina, insieme con le citazioni stilistiche, che vanno dall’antichità più remota . al futuro, passando per il gotico, il barocco ed il neo-classicismo, sono un tentativo di comunicare che, se pure non sempre va in porto, ugualmente coinvolge. Più liberi e soltanto piacevoli gli acquarelli dai bei colori e dal segno preciso che riecheggiano soggetti analoghi con meno preoccupazione.

All’Isola, di via Gregoriana 5, sono esposte 16 sculture di Giacomo Manzù realizzate tra il 1980 ed il 1986, accompagnate anche da alcuni disegni.
Non sappiamo se chi ha curato la mostra abbia fatto una scelta o semplicemente si tratti di opere che hanno in comune il periodo della loro creazione, ma l’effetto complessivo è di grande intensità espressiva, tanto coerente appare il dialogo tra di loro e con il visitatore.
L’arte di Manzù ha secondo noi un pregio che è proprio dei prodotti dei grandi artisti: l’immediata comprensibilità. Una comprensibilità che però non si esaurisce, ma si approfondisce e si rinnova continuamente. La sua poetica non usa mai il facile effetto, ma costruisce immagini salde nella fattura, di una raffinatezza semplicissima e disarmante.
Noi vogliamo tra le opere esposte privilegiarne una: Il muro dell’Odissea, un bronzo dorato del 1985. Ci è così piaciuta che avremmo desiderato che fosse presentata da sola, tanto è perfetta, completa espressione di un mondo artistico che ha i pregi della prorompente sensualità, della narrazione mitica, del gusto minuzioso del particolare. Tutte caratteristiche esaltate dalla solarità splendente dell’oro che ricopre le figure, scandite con mirabile euritmia su di un unico fronte.
Anche in tutte le altre opere esposte si manifesta però evidente un grande amore per la vita e per l’essere umano, visto in atteggiamenti quotidiani e divini ad un tempo. Forme che affascinano lo sguardo, che si accarezzano con un brivido:
siano fanciulle, cardinali oppure persino cesti di frutta di caravaggesco vigore, e di barocca monumentalità.
Non pensiamo che Manzù sia lo scultore perfetto: anzi anche tra le opere di questa mostra abbiamo qualche cosa da ridire: non c’è piaciuta per esempio la retorica del grande passo di danza e abbiamo trovato che gli amanti sono un bronzo sgradevole, con un sospetto di oscenità che, però, stranamente, non si ritrova nel disegno sullo stesso argomento, pure esposto. Non è la perfezione la qualità che si richiede ad un grande scultore!